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POTENZA – «Ci metto dentro rabbia rispetto a parecchi punti, ma parto da quello di buonsenso: una proposta di legge che passa come sostegno alla maternità, che viene discussa in un consiglio di soli uomini, e senza aver sentito le donne». Poi va avanti Anna Russelli, dirigente Cgil, madre e fotografa, e dispiega il muro di contrarietà che si è alzato sulla proposta di legge presentata dal consigliere regionale Aurelio Pace. Si chiama “Misure a sostegno della maternità” e prevede un aiuto mensile di 250 euro per 18 mesi alle donne che, con la guida di un progetto preparato dai centri di aiuto alla vita, decidono di non abortire.

La proposta di legge ora è al vaglio della quarta commissione consiliare di viale Verrastro. Lo schieramento che ha sottoscritto il testo è trasversale: con Pace (gruppo misto), hanno firmato anche Bradascio (Lista del presidente), Spada, Robortella e Polese (Pd), Galante (Realtà Italia), Mollica (Udc), Napoli (Pdl-FI), Rosa (Fdi) e Leggieri (M5S).

Pace ha spiegato di aver costruito la proposta dopo aver incontrato sul territorio associazioni, sigle, gruppi di donne. «Davvero? E quali? Partiti, associazioni e sindacati non mi pare siano stati ascoltati», aggiunge Russelli.

La cosa «subdola», dice, sta nel tentativo di far passare per una misura di sostegno, un percorso che approda a un livello ideologico».

Il punto è: certo che serve un aiuto alle donne che non riescono a mantenere un figlio. «Ma l’idea va inserita in un sistema complessivo di welfare. Perché non un sostegno per comprare medicine e pannolini? Perché non potenziare gli asili per le mamme lavoratrici?». Lo scarto è «politico: perché questa proposta di legge mira ad affidare un servizio a enti privati, come lo sono i centri di aiuto alla vita. Enti che avranno il compito di monitorare se la donna che ottiene l’assegno mantiene poi gli impegni presi. Mi chiedo secondo quale principio dovrebbero poter stilare un progetto e dare indirizzo».

I dati raccolti nella premessa della proposta di legge hanno fatto insorgere parecchi. «L’aborto in zona europea viene indicato come la principale causa di morte. Questo mi spaventa, mi terrorizza, perché guardo davvero all’Europa, ricordo quanto accaduto in Spagna e scorgo il contesto di arretramento culturale a cui stiamo anche noi aderendo».

In poche ore il tam tam istituzionale e informale ha messo insieme diverse donne pronte a guidare azioni di protesta contro il testo.

«C’è un confine delicato che è quello su cui viaggia l’equilibrio tra diritto della madre, che è una persona compiuta, con un corpo su cui dovrebbe avere consapevolezza, possibilità di autodeterminazione, e il feto, persona da compiere. Io credo che questo equilibrio sia stato trovato nella 194. Così torniamo indietro».

E poi c’è la questione di principio. «Si preoccupano del calo demografico causato dall’aborto e non di quello causato dall’emigrazione dei ragazzi in cerca di lavoro?».

La voce di Anna raccoglie un po’ le tante che si sono diffuse online e nei luoghi pubblici in queste ore. Sono anche voci di uomini che a questa proposta dicono no. Come quella del consigliere regionale Giannino Romaniello (Sel) che ha divulgato il testo e chiede audizione sul tema con associazioni e l’assessore alla Sanità. «La Basilicata è la prima regione per medici obiettori. Partiamo da questo dato, magari», dice.

E poi c’è Giovanni Casaletto, dirigente democratico che pubblica una lunga lettera con nove spunti di contrarietà. La proposta di Pace, dice, si sovrappone, provando a intaccare senza averne la titolarità, una legge nazionale. Perché di principio si tratta. Se così non fosse, se c’era solo da aiutare la maternità, «tanto valeva chiamarla bonus bebè».

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