X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

«SEMPRE più giovani e persi. Più nei paesi che nel capoluogo, ma comunque in continuo aumento». Rocco Russillo, “servitore-insegnante” dell’Acat di Potenza racconta così  una realtà che pur essendo assai diffusa resta sempre nell’ombra. Finchè non succede una cosa grave, come è accaduto nei giorni scorsi a Senise, con due ragazzine ricoverate in coma etilico e altri tre minorenni curati dai sanitari con danni meno gravi ma comunque seri. «Volevano sballarsi», «passare una giornata diversa». E così invece di andare a scuola si sono recati in un supermercato per acquistare sei bottiglie di super alcolici. E la mattinata è andata davvero diversamente dal solito, viste le conseguenze. Sembra stiano meglio, «ma le conseguenze saranno permanenti a livello neurologico – dice Russillo – perché l’alcol distrugge i neuroni. E, per esempio, si potrà osservare in questi ragazzi una riduzione della capacità di ricordare».

Le istituzioni continuano a fare campagne contro le dipendenze da droghe. «ma soprattutto in questa regione – continua – il problema vero è l’alcol. Fa parte proprio della nostra cultura. Ci sono padri che orgogliosamente fanno bere ai figli di sei anni il primo bicchiere di vino. L’alcol è una “cosa di famiglia”, una cosa che trovi facilmente a casa. E i ragazzi, i nostri figli, si trovano così la “droga” direttamente in famiglia. E infatti negli ultimi anni noi registriamo un diminuzione del consumo di vino tra gli anziani, mentre aumenta tra i ragazzini dai 14 anni in su. Ma purtroppo ci sono casi anche di bambini di 9 anni. I figli copiano i genitori che magari bevono i classici due bicchieri a tavola. E poi quella diventa un’abituadine».

Ed è per questo che all’Acat sono rigidissimi: l’alcol è una droga a tutti gli effetti, non si può assumere neppure in piccole quantità. «E non è terrorismo psicologico. Davvero quando si beve  si perde  la capacità di discernere. E spesso quelli a cui fai più male sono proprio le persone a cui vuoi più bene, quelli della tua famiglia».

Un problema serio e grave che questi ragazzi, già molto fragil,  finisce per ditruggerli. Nelle famiglie si parla poco, la pubblicità e il gruppo fanno il resto. E quando i genitori se ne accorgono spesso è già passato un po’ di tempo: «magari te ne accorgi quando fanno troppi incidenti con l’auto, quando diventano aggressivi. Però ci sono quelli che il problema lo affrontano davvero, con coraggio. Tanti altri che vivono con vergogna questa situazione, specie nei paesi dove tutti si conoscono. Di cosa ci si vergogna, diciamo noi, di avere il coraggio di affrontare il problema? Ma qui devi fare i conti anche con questo, è normale».

Così in questi “club” – 14 nella provincia di Potenza, cinque dei quali solo nel capoluogo – si ritrovano soprattutto le famiglie. Perché quello della “disintossicazione” è un problema comune, che riguarda tutti. Da solo il ragazzo non riuscirà ad affrontare un percorso di recupero della propria identità, ha bisogno di chi gli sta accanto. E così, con la guida di un “servitore-insegnante”, le famiglie qui dentro riprendono un percorso di «cambiamento e comunicazione». Che è proprio quello che manca forse nelle nostre case: figli che non parlano, genitori troppo distratti da  tanti altri problemi per accorgersi che qualcosa sta succedendo.

Eppure i sintomi sono chiari: dopo lo “sballo”, che ti fa saltare i freni inibitori, arriva la depressione. «E in tanti scambiano tutto questo per qualche altra malattia. Nei paesi della provincia comunque il fenomeno è più accentuato: magari i ragazzi non hanno nulla da fare, vanno al bar e bevono. E la cosa grave qual è? Che pur esistendo una legge rigorosa su questa tematica, nessuno rispetta le norme e si continua a vendere alcol anche ai minori di sedici anni. I commercianti lo fanno, le forze dell’ordine non intervengono. Come se la bottiglia di vodka crease meno danni della canna. E invece lì scatta la denuncia, il sequestro. Per l’alcol – che   fa più danni – nessuno fa nulla. E anche le istituzioni poi fanno delle campagne serie. Noi, per esempio, facciamo le nostre lezioni nelle scuole. Ed è giusto. Ma ci rendiamo conto che spesso dovremmo far lezione ai genitori o ai professori piuttosto. Perché dopo tanto parlare loro invitano i ragazzi a una pizza con massimo due birre».

Non bere «è una scelta di libertà. E dico ai ragazzi che conviene: chi beve non riesce ad avere una vita sessuale molto attiva, per esempio. E questa è solo una delle cose che si riacquistano scegliendo di non bere». Ma la battaglia è dura, perché questi ragazzi sono letteralmente sedotti: «la pubblicità incide tanto, più di quanto gli adulti pensino. E le aziende lo hanno capito bene che il target è quello degli adolescenti: ci sono strategie di mercato precise, come le bottiglie colorate. Il messaggio che lanciano è: “se non bevi non sei nulla”. E ciò che più preoccupa ora è che sono le ragazze a caderci sempre più spesso». Proprio loro che costituzionalmente “lo reggono meno”. E non è un caso che tra i 5 minori di Senise ad avere la peggio sono state proprio le due ragazzine. Questi giovani in cerca di identità, di approvazione, forse di ascolto, sono lì pronti a recepire i messaggi esterni. Perché essere adolescenti non è mai stato semplice: sentirsi accettato è più importante. «Le risposte sono dentro di loro». E spesso per non ascoltarle le innaffiano nell’alcol.

a.giacummo@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE