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CATANZARO – Vantando somme di denaro per l’intermediazione, procuravano falsi contratti di lavoro con la complicità di imprenditori italiani compiacenti, consentendo l’ingresso illegale in Italia di 500 immigrati, per un giro di affari da sei milioni di euro: la banda pakistana è stata sgominata dai Carabinieri di Pescara nell’ambito dell’operazione ‘Kebab’ che ha portato all’esecuzione di 26 ordinanze di custodia, di cui otto in carcere, undici agli arresti domiciliari e sette obblighi di dimora. Un’organizzazione, è emerso nel corso delle indagini, che aveva anche ramificazioni in Calabria.  

Si tratta di 15 italiani, dieci pakistani e un albanese; gli indagati sono 64. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata all’ingresso in Italia di extracomunitari clandestini, truffa, violazione della Bossi-Fini. Le misure cautelari sono state emesse dal Gip del Tribunale di Pescara, Maria Michela Di Fine, su richiesta del pm Barbara Del Bono.   L’organizzazione aveva interessi in Calabria, Lombardia ed Emilia Romagna. Gli indagati avevano una organizzazione di livello internazionale ben strutturata (e che aveva le basi operative fra Bergamo e Reggio Emilia) e costituita da cittadini pakistani che avvalendosi di connazionali all’estero e da italiani che fungevano da intermediari tra i promotori pakistani e diversi imprenditori collusi che dichiaravano la loro disponibilità all’assunzione degli immigrati, permettevano agli extracomunitari di ottenere il nulla osta per motivi di lavoro.   L’organizzazione si avvaleva anche di commercialisti e consulenti del lavoro incaricati di preparare e inoltrare le pratiche amministrative per ottenere i visti di ingresso, mediante produzione di falsa documentazione.    Il modus operandi dell’organizzazione per consentire l’immigrazione clandestina, in particolare dal Pakistan, consisteva nel fare in modo di procurare un visto per lavoro stagionale nel Paese di destinazione, in cambio del pagamento di una somma di oltre 12 mila euro. I commercialisti e gli intermediari ricevevano 1.500 euro per ogni pratica.   Le indagini sono partite prendendo spunto da una operazione dei carabinieri del 2009 (“Laundri”) nell’ambito delle truffe operate da alcune lavanderie industriali del pescarese: l’organizzazione è stata scoperta grazie alle intercettazioni telefoniche eseguite nei confronti di uno degli indagati di quell’inchiesta.

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