X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – Rivedere l’esclusione delle aree ad elevato rischio sismico, decisa dopo il disastro di Fukushima, dalla mappa dei siti idonei per il deposito unico delle scorie dell’atomo tricolore. Per evitare che la scelta, nell’Italia peninsulare, sia limitata soltanto alla «parte meridionale della Puglia, piccole zone della Basilicata ionica e del Molise e alcune zone costiere della Campania, del Lazio e della Toscana».
A sollecitarlo è la Commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie presieduta da Alessandro Bratti (Pd), nella Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi a firma di Dorina Bianchi (Ncd) e Stefano Vignaroli (M5s) approvata giovedì all’unanimità.
Un intero capitolo della relazione è dedicato al progetto del deposito unico dei rifiuti radioattivi, rilanciato nel 2010 dopo le proteste che fermarono l’arrivo delle scorie a Scanzano Jonico nel 2003.
«Non si tratta – ribadiscono i commissari – di una procedura centralistica, tendente alla ricerca del sito “migliore”, da imporre poi, quale che sia la posizione delle comunità e delle amministrazioni interessate (strategia rivelatasi in passato del tutto inefficace, ricordando il decretolegge che nel 2003 stabiliva la localizzazione del deposito nazionale nel comune di Scanzano Jonico)».
Da allora sono occorsi 4 anni solo per la definizione da parte dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) dei criteri per la localizzazione “sicura” del sito. Un ritardo criticato dai parlamentari, in attesa della pubblicazione della mappa delle aree potenzialmente idonee. Poi però rincarano la dose entrando anche nel merito delle valutazioni effettuate in maniera – a loro avviso – fin troppo restrittiva.
«Sembra coerente con un simile approccio procedurale – spiegano – che i criteri di esclusione, a differenza di quanto potrebbe invece avvenire per la ricerca del sito astrattamente “migliore”, non debbano essere tali da limitare già in partenza, più di quanto strettamente necessario, il campo dei potenziali interlocutori, l’ampiezza delle scelte lasciate loro e gli elementi di reale confronto, soprattutto se si tiene conto che la verifica dell’idoneità di un’area non si esaurisce con l’applicazione dei criteri di esclusione, ma vi sono fasi successive di approfondimento e di qualificazione del sito che consentono, con precisione maggiore, ogni verifica delle condizioni di sicurezza che debbono essere garantite».
Quindi l’attacco sull’esclusione dalle aree potenzialmente idonee di quelle «ad elevata sismicità», che «sembrerebbe particolarmente severo» a detta dei commissari, perché «porta, da solo, all’esclusione di una larga parte del territorio nazionale». Tanto più se sommato a quello che «fissa una distanza minima di 5 chilometri dalla costa».
«Risultano del tutto escluse le Marche, l’Umbria e la quasi totalità dell’Emilia-Romagna». Evidenziano i membri della bicamerale. «Un’esclusione così drastica potrebbe non essere necessaria, se si considera che le norme tecniche citate (quelle che individuano le aree ad elevato rischio sismico, ndr) non stabiliscono – ovviamente – il divieto di costruzione nelle aree che siano contrassegnate da quei possibili valori di accelerazione, ma semplicemente fissano per esse determinate e più stringenti regole di progettazione, regole che non sarebbe certo difficile rispettare».
«D’altra parte – insistono -, al di là della considerazione generale sopra svolta, non sembrerebbe necessariamente condivisibile che, in tema di sicurezza, la maggiore severità sia sempre e comunque la scelta migliore»
I relatori riportano a riguardo l’audizione dei responsabili Ispra, per cui il criterio in questione sarebbe così «severo anche perché concepito nel periodo successivo all’incidente di Fukushima». Salvo precisare che il disastro della centrale nucleare giapponese è stato sì «originato da un terremoto», eppure, «va detto, in modo non diretto, ma attraverso un’onda di maremoto, e in un impianto del tutto diverso dal deposito». Oggi insomma i terremoti non rappresenterebbero più «per un’opera quale il deposito nazionale di rifiuti radioattivi un elemento di rilevanza maggiore, quanto invece gli aspetti idrologici ed idrogeologici del sito».
«A fronte delle oggettiva severità del criterio di esclusione per sismicità elevata, espresso con precisione nella Guida dell’Ispra», la Commissione rileva, invece, «la genericità con la quale sono invece formulati altri criteri di esclusione, come in particolare quello per inadeguata distanza dai centri abitati, dove la genericità non è dovuta solo alla mancata indicazione di un parametro misurabile, ma anche alla scarsa chiarezza degli obiettivi per la definizione del parametro stesso e dove, conseguentemente, è lasciata all’attuatore Sogin ampia discrezionalità».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE