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POTENZA – Resistono gli indizi e il sospetto che Vincenzo Sigillito (in foto) e Bruno Bove possano ancora inquinare le prove, arrivare alle persone che gli inquirenti hanno intenzione di sentire nei prossimi giorni, e influire in qualche modo sulla loro verità. Di più si saprà soltanto tra qualche giorno, quando verranno depositate le motivazioni. Ma i giudici del Tribunale del riesame si sono già espressi rigettando i ricorsi presentati dai legali di Bove e Sigillito che chiedevano l’annullamento dell’ordinanza eseguita nei confronti dei loro assistiti. Quindi resteranno entrambi agli arresti domiciliari come stabilito dal gip Tiziana Petrocelli, su richiesta del pm Salvatore Colella, che ha coordinato le indagini partite da un esposto per questioni perlopiù sindacali, che hanno incrociato successivamente il disastro di San Nicola di Melfi, l’inquinamento della discarica di Pallareta nel capoluogo, e una serie di assunzioni all’interno dell’ente, perlopiù di amici e di amici di amici, in vista di un possibile ritorno elettorale per l’assessore Erminio Restaino.
Sempre ieri mattina, è durata circa due ore l’udienza davanti al gip per quanto riguarda la richiesta di commissariamento dell’impianto di termovalorizzazione Fenice. La decisione è prevista per i prossimi giorni. I legali della ditta, al termine dell’udienza, hanno spiegato di «aver contrastato fermamente la richiesta del pm, poichè non esisterebbero i presupposti perchè il reato contestato non prevede l’interdizione, e quindi il commissariamento dell’impianto». Secondo gli avvocati, «non c’è e non c’è stato pericolo per la salute pubblica» e «la Fenice ha fatto tutto quanto necessario e richiesto sul monitoraggio». Dal 2009 poi, con «la messa in sicurezza di emergenza del termovalorizzatore di Melfi tutte le sorgenti di contaminazione sono state individuate, ed eliminate e le possibili fonti di diffusione della stessa sono state confinate». Questo stando alla nota diffusa in serata da Fenice Ambiente, secondo cui «la richiesta di commissariamento» della struttura lucana «è infondata» ma si attendono «con fiducia» le conclusioni degli organi giudicanti restando «a disposizione» delle autorità per ulteriori chiarimenti. Nella nota si cita anche una relazione dell’Arpab del 14 ottobre 2011, secondo cui «gli interventi di messa in sicurezza dell’impianto hanno ridotto sensibilmente i livelli di contaminazione delle acque sotterranee» e «il processo è governato nell’ambito del procedimento sui siti contaminati nel pieno rispetto della normativa vigente».
Tornando a Bove e Sigilillito per loro l’accusa parla di «una costante, insidiosa e allarmante attività di inquinamento probatorio». L’ex direttore dell’Arpab godrebbe ancora «della possibilità di avvalersi di canali istituzionali o di avvocati aventi col medesimo affinità di carattere politico, i quali grazie al suo intervento sono riusciti e riescono tutt’ora ad ottenere consulenze da parte dell’Arpab e della Regione Basilicata». Esisterebbe anche «un canale di fuga di notizie riservate che interessa tutto il presente procedimento». E su questo come altri aspetti l’indagine è «tuttora in pieno svolgimento».
Le accuse sono molto pesanti: si parla di disastro ambientale, truffa, falso ideologico, omissione di atti ufficio e rivelazione di segreti. Gli indagati in tutto sono 14 e tra questi figurano gli attuali responsabili dell’Ufficio compatibilità ambientale della Regione e un ex di altissimo livello che oggi dirige l’Ufficio programmazione e controllo di gestione della giunta Franco Pesce.
Per Sigillito, Bruno Bove, il responsabile del monitoraggio dell’Arpab Vincenzo Di Croce, Ferruccio Frittella, un tempo responsabile dell’Arpab di Matera, Franco Pesce e i manager di Fenice che si sono avvicendati dal 2001 a oggi, l’ipotesi della Procura è disastro ambientale colposo per la mancata attivazione del Piano di monitoraggio ambientale del Melfese, concordato tra la società e la Regione proprio per evitare che si verificassero situazioni come questa. Inoltre sempre gli stessi non avrebbero comunicato i dati sul «grave e pericoloso inquinamento in atto per la presenza di metalli pesanti» sostanze cancerogene nella falda acquifera sottostante, mettendo a rischio la pubblica incolumità. Poi c’è un’ipotesi di truffa ai danni della Regione e dei comuni che per tutti questi anni hanno portato rifiuti nel termovalorizzatore di Melfi. Imboscando i dati sulle schifezze finite nella falda avrebbero procurato un profitto ingiusto a Fenice spa. In sostanza le amministrazioni hanno pagato fior di quattrini perchè erano convinte di smaltire i propri rifiuti nella maniera più ecologica possibile, mentre in realtà le cose sarebbero state molto diverse. I cittadini hanno visto salire il costo della Tarsu e si sono messi l’anima in pace credendo che quei soldi servissero al rispetto dell’ambiente, invece tra metalli pesanti e inquinanti vari c’è chi ha rischiato di beccarsi un tumore. Insomma una bomba che aspettava di esplodere da un momento all’altro, amplificata dall’attenzione di media e cittadini tanto che gli investigatori hanno attribuito alle pressioni quotidiane sul caso anche un clamoroso passo falso dei due finiti agli arresti domiciliari, Sigillito e Bove. Per farla franca sviando il corso delle indagini, secondo gli inquirenti avrebbero presentato una denuncia alle procure di Melfi e Potenza zeppa di cose letteralmente inventate.

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