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POTENZA – La procura c’era andata giù duro parlando di «megalomania» e chiedendo una condanna per quasi 250mila euro. Il collegio giudicante è stato un po’ più moderato e ha deciso per meno della metà perchè in fondo uno sperpero ci dev’essere stato ma sembra che le responsabilità non si possono attribuire a una persona soltanto.
Dovrà risarcire alle casse dell’Arpab 106mila euro l’ex direttore generale Vincenzo Sigillito. E’ quanto ha stabilito la Corte dei conti di Potenza che ha raccolto le denunce contenute in una serie di esposti accertando diverse anomalie nella gestione dell’ente. Il fatto in sè è lo stesso di cui si era occupato anche il Quotidiano a dicembre del 2010.
«Divani in pelle rossa, quadri d’autore alle pareti, un salottino alle spalle della scrivania, con tanto di poltrona super relax». Così iniziava il pezzo sul buco da quattro milioni di euro nei bilanci dell’Agenzia, con la descrizione degli arredi del mega-ufficio del capo, un appartamento da 240 metri quadri comunicante ma formalmente autonomo dalla sede principale dell’ente. La scelta di affittare quei locali era stata presa nel 2007 dallo stesso Sigillito che si era pure occupato di acquistare tutto il necessario per allestire un ambiente di rappresentanza che si rispetti. Lo stesso statuto dell’Arpab prevedeva che il direttore promuovesse conferenze di servizio e incontri con imprenditori, associazioni sindacali, rappresentanti delle istituzioni locali e associazioni ambientaliste. Ma per la procura sarebbe stato superfluo comunque, vista la natura tecnica delle attività dell’Agenzia oltre al fatto che da una parte l’ufficio era ad «uso esclusivo» del dg, e dall’altra sarebbe stato immediatamente dismesso non appena si è insediato il successore di Sigillito.
La difesa dell’ex direttore, che a novembre dell’anno scorso è finito al centro dello scandalo per una serie di presunte raccomandazioni sempre all’interno dello stesso ente, e le accuse sull’occultamento dei dati sull’inquinamento della falda sotto l’inceneritore Fenice di San Nicola di Melfi, sul punto si è fatta sentire dimostrando che all’epoca, a differenza che oggigiorno, effettivamente all’agenzia mancavano spazi sufficienti per sistemare tutti gli uffici.
Il collegio quindi ha dovuto svolgere un discorso diverso: «L’Agenzia – scrivono i giudici – si trovava in uno stato di marcata inefficienza; i dati di bilancio mostravano un Ente le cui risorse vengono essenzialmente impiegate per mantenere se stesso, rispetto alle quali quelle destinate alle attività istituzionali di tutela ambientale sono di entità marginale. In tale contesto va collocata la scelta del Direttore di prendere in locazione un ampio appartamento (240 mq), definito “di particolare pregio”, poi adibito ad esclusivo uso dell’ufficio del direttore, di cui solo 110 metri quadri sono stati utilizzati ad uso ufficio, posto che la restante metratura era destinata a terrazzo e giardino pensile. Il canone di locazione di 3.300 euro più Iva, quindi, è risultato di gran lunga più alto rispetto a quello di mercato».
Quasi tre volte tanto, solo perchè era «di particolare pregio», mentre un buon amministratore dovrebbe badare all’economicità delle sue scelte innanzitutto. La differenza tra quanto corrisposto al proprietario dal 2007 al 2011 e il canone di mercato è quanto Sigillito dovrà dunque risarcire, al netto di circa ventimila euro che secondo i giudici andrebbero addebitati al funzionario dell’ufficio tecnico che all’epoca ha avallato l’idea, a cui vanno sommati seimila e rotti euro per gli arredi, pagati più di quanto è indicato dal prezziario della pubblica amministrazione per acquisti del genere “poltrona presidenziale in pelle”. Perchè la rappresentanza si fa anche da seduti.

Leo Amato

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