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GIUDIZIO immediato per Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile scorso, giorno di insediamento del governo Letta, sparò contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi. Lo ha deciso la procura di Roma e la relativa richiesta reca le firme del procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e del sostituto Antonella Nespola. Nella sparatoria rimasero feriti in modo grave il brigadiere Giuseppe Giangrande, colpito al collo, ed, in maniera più lieve, l’appuntato Francesco Negri, raggiunto da un proiettile ad una gamba. Un terzo militare dell’Arma si vide perforare il giubbetto antiproiettile, mentre il quarto si salvò gettandosi in terra. Preiti, detenuto a Rebibbia, deve rispondere del tentato omicidio dei 4 carabinieri, di porto abusivo di arma clandestina e di riciclaggio. 

Agli inquirenti Preiti disse che il suo obiettivo erano i politici e di aver successivamente sparato ai carabinieri, senza alcuna volontà di uccidere, quando cominciarono a sistemare le transenne davanti a Palazzo Chigi. “Un gesto eclatante” – spiegò l’uomo, muratore residente in Calabria – legato alla sua condizione di disoccupato, al termine del quale si sarebbe tolto la vita. Gli accertamenti hanno escluso che Preiti, ritenuto dai pm assolutamente capace di intendere e di volere, avesse mandanti. L’esame dei tabulati telefonici di due anni hanno confermato che l’uomo aveva contatti solo con i familiari. Anche le indagini sull’arma, una Beretta 7,62 con matricola abrasa, che Preiti sostenne aver acquistato al mercato nero di Genova, non hanno consentito di stabilirne provenienza ed originario possesso. Se Preiti nega che volesse uccidere, ed ha anche chiesto scusa ai due carabinieri feriti, di parere opposto sono gli inquirenti. Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Bernadette Nicotra scriveva che la volontà omicida di Luigi Preiti è confermata dal fermo immagine in cui è ritratto con la pistola orientata ad altezza d’uomo, ed a distanza ravvicinata, verso il brigadiere Giuseppe Giangrande. 
Una versione non condivisa dai difensori del calabrese, gli avvocati Raimondo Paparatti e Mauro Danielli, secondo i quali la dinamica dei fatti impedisce di stabilire la volontà omicida. I due legali dovranno ora valutare, alla luce della richiesta di giudizio immediato, se sollecitare che il processo si svolga con un rito alternativo, come quello dell’abbreviato, che consente la riduzione di un terzo della pena inflitta.
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