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UNA squadra di calcio trasformata in impresa agricola. C’era anche questo nel campionario di finti coltivatori diretti scoperto dai carabinieri del Nucleo antifrodi di Roma, che hanno fatto scattare le manette per tre persone, mentre altre due sono finite ai domiciliari e dieci indagate. E se l’indagine è partita dalla Capitale, la Calabria ha avuto un ruolo fondamentale. A partire dal promotore della truffa messa in piedi per intascare i contributi europei destinati all’agricoltura: Maurizio Ferraro, nativo di Cosenza e da anni residente a Roma, dove tra l’altro era già detenuto per vicende legate allo spaccio di droga. E poi la squadra di calcio: una società sportiva della provincia di Cosenza, iscritta ad un campionato dilettantistico. Quindi, il terzo legame con la Calabria relativo al Centro di assistenza agricola di Cosenza. Era, infatti, anche grazie alle password di questa struttura che l’organizzazione inseriva i nominativi dei finti agricoltori.
L’indagine ha permesso di ricostruire l’ingegnoso sistema di truffa, con nominativi inseriti nei sistemi informatici per accaparrarsi i contributi. Cinque le persone arrestate su ordine del gip del tribunale di Roma, Massimo Di Lauro. In manette sono finiti Maurizio Ferraro, Giovanni Morello e Marino Gambazza. Altre due persone sono invece finite ai domiciliari, Antonio Tramontana e Maia Di Gregorio. Una decina inoltre le persone indagate, perlopiù agricoltori conniventi residenti in Calabria e in Sicilia. Secondo quanto accertato dal procuratore aggiunto di Roma, Francesco Caporale, e dal sostituto, Corrado Fasanelli, il gruppo richiedeva l’erogazione dei fondi all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) dopo aver ottenuto le password necessarie attraverso l’assistenza dei Centri di assistenza agricola (Caa). Il sistema prevedeva di fingersi agricoltore, immettendo delle volte nominativi di persone del tutto ignare, e asserendo lavorare su determinati terreni. In alcuni casi, come accertato dai carabinieri del Nucleo antifrodi di Roma, aveva chiesto i fondi su terreni di proprietà di enti pubblici, di Comuni e università che andavano dalla Sicilia alla Valle d’Aosta. E tra le incredibili anomalie riscontrate dai carabinieri, quella della società sportiva della provincia di Cosenza. Il cui nome, grazie a questa truffa, non era più legato solo agli ambienti del calcio dilettantistico, ma era diventata un’azienda agricola capace di coltivare diverse particelle di terreni.
Tutto questo, almeno secondo questa prima parte di indagini, all’oscuro dei singoli componenti della squadra che, di fatto, erano tutti soci dell’azienda come agricoltori diretti. Per quanto riguarda il Centro di assistenza agricola di Cosenza, i militari di Roma non hanno riscontrato al momento il coinvolgimento dei veri responsabili della struttura. Pare, infatti, che il gruppo che dirigeva la truffa era nelle condizioni di recuperare e utilizzare varie password dei centri distribuiti in tutta Italia, compreso quindi quello di Cosenza. Un meccanismo consolidato, al punto che nel periodo dal 2009 al 2011, sarebbero stati richiesti fraudolentemente circa 6 milioni di euro, mentre l’inchiesta ha impedito che venissero stanziati circa 2 milioni di euro.

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