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CATANZARO – Per la Corte costituzionale quella normativa regionale sulla stabilizzazione dei dipendenti provenienti da altri enti pubblici era illegittima. Per la Regione Calabria non era comunque da annullare in autotutela. E così stabillizzazione fu. Grazie ad un parere espresso da un tavolo tecnico composto da tre superdirigenti che, a delibera ormai attuata, si erano ritrovati dietro la porta un ufficiale giudiziario con in tasca un avviso di garanzia per abuso d’ufficio firmato dal sostituto procuratore, Gerardo Dominijanni. Lo stesso che, strada facendo, ha cambiato direzione e, tornando sui suoi passi, ha ora chiesto l’archiviazione per  il direttore generale della Presidenza della Regione, Franco Zoccali, il dirigente esterno dell’avvocatura regionale, Paolo Arilotta, ed il direttore generale del dipartimento Personale, Umberto Nucara, ritenendo che nel caso trattato “non ci fu dolo intenzionale, ma solo manchevole conoscenza della materia e una superficiale lettura del dettato normativo di cui all’articolo 21 nonies della legge 241/90”. Per la Procura di Catanzaro, dunque, il caso si chiude. 

I nomi dei tre “fedelissimi” del governatore Giuseppe Scopelliti sono già finiti al vaglio del gip, Tiziana Macrì, chiamata a pronunciarsi sulla dettagliata richiesta formulata dal magistrato, grazie anche alla strenua difesa portata avanti dagli indagati e dai rispettivi legali, che, carte alla mano, hanno dimostrato la legittimità del proprio operato intorno a quel tavolo tecnico che li aveva visti sedere insieme per esprimersi proprio sulla decisione della Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità – per lesione del principio costituzionale dell’accesso agli uffici pubblici mediante concorso – dell’articolo 16 della legge regionale 26 febbraio 2010, nella parte in cui prevedeva che “i dipendenti in servizio al 1° gennaio 2010 in posizione di comando presso gli uffici della giunta regionale proveniente da enti pubblici, che abbiano maturato in tale posizione almeno 4 anni di ininterrotto servizio, sono trasferiti, a domanda, nei ruoli organici della Regione, nei limiti della dotazione organica prebista nella programmazione triennale del personale e delle risorse disponibili”. Tavolo tecnico che, nel luglio scorso, stabilì, in sintesi, che i dirigenti interessati avevano continuato a ricoprire posti di responsabilità adottando «importanti atti amministrativi» e che pertanto la sentenza della Consulta non andava applicata. 

Da lì la decisione della giunta regionale di disporre di “non procedersi all’annullamento”, ma di “convalidare la stabilizzazione dei dirigenti Giacomo Giovinazzo, Luigi Zinno e Rosalia Marasco, così intenzionalmente procurando loro un ingiusto vantaggio patrimoniale (trattamento stipendiale, di liquidazione e pensionistico migliore rispetto a quello delle amministrazioni di provenienza) e di accrescimento della loro posizione giuridica soggettiva derivante dal loro inquadramento nei ruoli organici della Calabria”, e dall’altro “un danno ingiusto” ai sedici dipendenti regionali che avevano sollevato i dubbi più pesanti intorno alle delibere “incriminate”. In questi termini, almeno, l’atto d’accusa che era stato lanciato contro i tre vertici regionali dal magistrato, che ora appare piuttosto convinto a farli uscire di scena ritenendo che “la condotta posta in essere dagli indagati, per difetto della prova sull’elemento psicologico del dolo, non costituisce reato”. Così scrive Dominijanni nella richiesta di archiviazione approdata sulla scrivania del gip, Tiziana Macrì, che dovrà mettere la parola fine all’intera vicenda giudiziaria. Con buona pace dei direttori generali, Zoccali, Arilotta e Nucara, che si erano trovati a sbrogliare una pratica che, alla fine, aveva fatto trovare loro stessi più “imbrogliati” che mai.

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