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BERNALDA – Si chiude definitivamente la vicenda legata all’impianto di compostaggio della Lucana Ambiente che doveva sorgere a Bernalda. Il Tar delal Basilicata infatti ha considerato irricevibile il ricorso dell’azienda rispetto a quanto deliberato dal Comune riguardo la costruzione dell’impianto nell’area Sin di Pantanello. In pratica stando ai giudici non si potrà costruire nulla in quel territorio, nulla che, stando a quanto scrisse l’amministrazione nella delibera, comporti cicli legati in qualche modo alla combustione. Tutto  è iniziato nel 2008, quando la società Lucana Ambiente aveva chiesto di poter costruire un impianto di compostaggio che potesse raccogliere circa 32mila tonnellate  di rifiuti all’anno. Rifiuti che stando alle precisazioni della stessa azienda sarebbero arrivati soltanto da raccolta differenziata e quindi caratterizzato soltanto da rifiuti compostabili e non speciali. La questione però non ha mai convinto l’amministrazione comunale, nonostante l’azienda fosse riuscita ad ottenere le autorizzazioni preliminari alla costruzione dell’impianto da Regione e Soprintendenza regionale. La questione è diventata ancora più complessa quando l’amministrazione in una delibera specificò “l’assoluta contrarietà alla realizzazione, sull’intero territorio comunale, di impianti di trattamento e/o trasformazione dei rifiuti, con valorizzazione energetica dei medesimi tramite cicli, qualunque essi siano, che ne prevedano la combustione in forma solida e gassosa”.

Da qui il comune ha formulato alcune osservazioni al progetto, la prima che riguardava proprio la mole di rifiuti che avrebbe dovuto trattare l’impianto, assolutamente non compatibile con quanto viene prodotto all’interno dei confini comunali. Una differenza enorme tra le 1500 tonnellate prodotte effettivamente di umido frazionato rispetto alle 32mila richieste in un anno per tenere testa alla produzione di compost.

Ma stando al progetto in mezzo ci stava anche una collaborazione da mettere in pratica con la Metaponto Agrobios per il trattamento dei fumi in uscita dell’impianto “per lo sviluppo di colture microalgali finalizzate alla produzione di sostanze di interesse industriali, quali oli, integratori alimentari per uso umano, zootecnico e acquicolture di altissima qualità, oltre a fertilizzanti biologici, produzioni di vitamine, minerali, aminoacidi per industria farmaceutica ed alimentare”. Tutte questioni che non erano mai state specificate con chiarezza dall’ azienda.

Altro punto riguarda la conformità dell’impianto “agli strumenti di programmazione provinciale e regionale in materia di flussi di rifiuti e trattamenti o smaltimenti finali”. Ma la centrale, stando a quanto scritto dalla stessa Lucana Ambiente avrebbe trattato solo “Una parte di questi rifiuti, che non possono essere utilizzati ai fini della realizzazione di compost”. L’idea era quella di produrre gas dai rifiuti non compostabili per alimentare un sistema di essiccazione dei rifiuti trattabili e alimentare una piccola centrale elettrica da 700 kilowatt. Materiale che sarebbe dovuto arrivare dagli scarti agricoli, senza utilizzare legni da produzione primaria”.

 

FOCUS: BIOMASSE O ALTRO? ECCO IL PIANO DELL’AZIENDA

In una lettera originariamente spedita alla Ola l’azienda Lucania Ambiente aveva dato spiegazioni su quanto si apprestava a fare sul territorio di Bernalda (tanto da ricevere due via libera dalla Regione) assicurando che non si sarebbe trattato di una centrale a biomasse ma soltanto di una stazione di compostaggio che avrebbe utilizzato soltanto “frazione verde e ligneo cellulosico riconducibili ai rifiuti raccolti con i servizi pubblici attivi sul territorio con aggiunta di scarti legnosi da attività produttive selezionate che si potrebbero rendere necessari al fine di garantire i rapporti di miscelazione dei rifiuti in ingresso”.

Non solo questo, ma anche “rifiuti, in particolare derivanti dall’agricoltura (scarti verdi, sfalci di potatura, sfridi di legname), orticoltura e preparazione di alimenti, che, seppure in quantità prevedibilmente limitate, possono certamente contribuire efficacemente al miglioramento qualitativo delle matrici da compostare”.

Tutti rifiuti che comunque avrebbero prodotto delle ceneri di recupero utili come fertilizzanti. Ma a finire dentro la stazione sarebbe toccato anche all’umido frazionato dalla spazzatura prodotta dai cittadini tramite un procedimento di “estrusione” dei rifiuti. Una parte di questi sarebbe finita per la produzione di gas.

Gas utile ad alimentare una “centrale termica per la essiccazione dei materiali da compostare ed una centrale elettrica con una potenza, a regime, di soli 700 chilowatt (0,7 megawatt e serve a coprire una parte dei consumi elettrici dell’impianto di produzione.  La centrale non utilizza legno da produzione primaria (fustaie, ceppaie, boschi cedui) e non può bruciare solo gas e nessun altro tipo di combustibile solido”.

Ma a quanto pare il no del Comune ha rappresentato un punto di non ritorno per la costruzione dell’impianto, ad oggi bloccato da una sentenza del Tar a seguito del ricorso della stessa Lucana Ambiente. Più volte l’azienda aveva smentito l’ipotesi di costruzione di una centrale a biomasse e quindi di un impianto che potesse bruciare rifiuti per produrre energia, ma non è su questo infatti che si fonda l’irricevibilità del ricorso per come definito dai giudici del Tar.

v.panettieri@luedi.it



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