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Il piccolo Cocò Campolongo

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L’INCHIESTA sul triplice omicidio del piccolo Cocò (Nicola jr) Campolongo, del nonno e della sua compagna cambia direzione per dare più corpo a un’ipotesi investigativa più “ristretta”, in un primo momento ritenuta secondaria rispetto all’ampio ambiente mafioso locale entro il quale individuare i responsabili del barbaro triplice omicidio del bambino di tre anni di Cassano Jonio, ucciso e bruciato in auto il 19 gennaio scorso insieme al nonno Giuseppe Iannicelli e alla compagna di questi, la  ventisettenne marocchina Betty (Ibtissam) Taouss.

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Ipotesi che lascia le indagini pur sempre nell’ambito degli affari illeciti di Iannicelli – droga, prima di tutto – ma restringe il cerchio su un contesto più “vicino” alla vittima. E per fare il punto su questa nuova pista, ieri alle tredici, si è tenuta una riunione interforze presso la Direzione distrettuale di Catanzaro che sta coordinando l’indagine condotta dai carabinieri di Cosenza sotto la guida del colonnello Vincenzo Franzese. La riunione è stata convocata dal procuratore aggiunto della procura distrettuale, Giovanni Bombardieri, che ha voluto un aggiornamento sulle indagini che stanno procedendo serrate e che sembrerebbero giunte a una fase cruciale.

All’incontro, oltre all’aggiunto Bombardieri hanno preso parte il procuratore capo della Dda, Vincenzo Lombardo, il sostituto procuratore titolare del fascicolo, Pierpaolo Bruni, il pm della procura di Castrovillari, Vincenzo Quaranta, il capitano della compagnia dei carabinieri di Corigliano Calabro, Pietro Paolo Rubbo. C’era anche il sostituto procuratore, Vincenzo Luberto, applicato al procedimento per la sua precedente esperienza da magistrato antimafia delle trame malavitose dell’Alto Jonio cosentino e, soprattutto, della famiglia Iannicelli che il magistrato ha interamente mandato in galera con l’operazione “Tsunami” accusandola formale di spaccio di droga ma anche per i gravi indizi di essere vicina alla cosca degli Abbruzzese e che stesse organizzando un attentato ai danni del pm con il placet dello stesso clan zingaro di Lauropoli. La riunione in procura antimafia è durata alcune ore.

E dalle poche indiscrezioni trapelata sembrerebbe emergere che la pista maggiormente battuta all’inizio dagli investigatori stia cedendo il passo a un altro percorso, da qualche giorno ritenuto più probabile del primo. Subito dopo il triplice omicidio i carabinieri hanno infatti indirizzato le indagini nella direzione dei principali contesti della malavita di Cassano e dintorni. Tuttavia, col passare dei giorni e degli elementi man mano acquisiti nel corso dell’attività investigativa, carabinieri e magistrati inquirenti hanno ristretto l’inquadratura, focalizzandosi su un contesto criminale ben preciso, su un “dettaglio” che ha però sempre a che fare con i traffici della famiglia Iannicelli. Resta da stabilire se su questa nuova visione investigativa abbia potuto incidere la pubblica presa di distanza della terribile esecuzione da parte della famiglia Abbruzzese, che nelle scorse settimane ha fatto sapere di essere «vicina al dolore dei familiari delle tre vittime», di «respingere con forza le accuse mosse nei loro confronti dalla stampa», di «amare moltissimo sia donne che bambini» e che «un fatto così brutale li ha lasciati davvero attoniti».

Naturalmente l’inchiesta resta ancora nel campo delle ipotesi: nessuna delle piste valutate finora è comunque esclusa per arrivare a capire chi e perché ha ammazzato il piccolo Cocò come se si trattasse del più feroce e incallito dei boss:  con un colpo alla testa; allo stesso modo del nonno, insomma. E perché non è stata risparmiata la medesima esecuzione per la giovane e misteriosa marocchina – ufficialmente sposata da poco tempo con un amico di Iannicelli residente a Firmo – che sembrerebbe però apparentemente estranea agli ambienti criminali di tipo mafioso.

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