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POTENZA – «Se passi ancora di qui ti faccio fare la stessa fine della macchina». Sono queste le parole che avrebbero scatenato la furia omicida di Ettore Bruscella, l’autore della strage della vigilia di Natale a Genzano di Lucania. Circa un mese fa la Panda dell’anziano pensionato si era incendiata mentre era parcheggiata sotto casa sua. Per i carabinieri e i vigili del fuoco si è trattato soltanto di un incidente dovuto a un corto circuito, ma Bruscella non si era ancora liberato del sospetto che fosse stata opera dei suoi vicini. Stando a quanto ha raccontato lui stesso lunedì durante l’interrogatorio nel carcere di Potenza, quella sera il più giovane delle vittime del massacro gli avrebbe indirizzato un avvertimento più o meno di questo tenore. Secondo il gip Rosa Larocca, Bruscella avrebbe reagito in maniera spropositata a quella che ha avvertito come «una minaccia» incombente. Nessuna premeditazione: in pratica l’anziano pensionato non avrebbe portato a compimento un piano diabolico studiato apposta per la ricorrenza. Si sarebbe sentito in pericolo e su questa pseudo-convinzione avrebbe maturato la decisione di farla finita una volta e per tutte con quei vicini che in realtà non aveva mai sopportato.
«Triplice omicidio aggravato dai futili motivi». L’accusa nei confronti di Bruscella è dunque questa qui. Il capo d’imputazione è stato formalizzato nell’ordinanza di custodia cautelare depositata ieri mattina a Potenza. Il gip, per «motivi di eccezionale pericolosità sociale», gli ha poi negato gli arresti domiciliari benchè ultrasettantenne, cosa che in normali situazioni preclude la galera per i più anziani. Ha pesato la natura del gesto compiuto, ma soprattutto il fatto che una volta scarcerato Bruscella, per quanto ristretto, sarebbe comunque tornato in quell’abitazione attigua alla lavanderia dei Menchise, che è all’origine del contrasto di cortile terminato con il massacro della vigilia, di modo che potrebbe portare a conclusione «l’intento stragista» manifestato il 24 sera. A cadere, trucidati da almeno una quindicina di colpi esplosi in rapida sequenza da Bruscella col suo fucile semiautomatico da caccia al cinghiale: Maria Antonietta Di Palma, 55 anni, e i suoi due figli Matteo, 27, e Maria Donata, 31. Unico sopravvissuto a parte il primogenito Luigi, che è accorso sulla scena del massacro solo in un secondo momento, il capofamiglia Nardino Menchise, 61 anni, scappato nonostante la ferita alla gamba e poi salvato da un vicino che lo ha nascosto in casa sua.
Con tutti loro “Ettorino” Bruscella, così lo chiamano in paese, aveva intrapreso da almeno due anni un contenzioso davanti al Tribunale di Potenza per una presunta infiltrazione di umidità che avrebbe danneggiato le scorte alimentari accumulate nella cantinetta della sua abitazione. Ma l’inizio della guerra di nervi andrebbe fatto risalire a molto prima, dal momento in cui i Menchise avevano messo gli occhi su quelle stanze all’incrocio tra via Vulture e via Verdi, dove un tempo viveva una vecchina di cui Bruscella e la moglie a lungo si erano presi cura. Se per ringraziarli la signora avesse davvero promesso ai vicini che alla sua morte avrebbe lasciato loro l’immobile di modo che potessero ampliare l’abitazione affianco, accogliendo anche la famiglia di uno dei tre figli, è rimasto un mistero. Si sa solo che dopo i funerali il figlio della vecchina, un vigile urbano in servizio a Genzano, avrebbe appeso alla porta un cartello con la scritta «vendesi» e Bruscella non se ne sarebbe mai dato pace. Avrebbe avvicinato molti di quelli che si erano mostrati interessati per intimidirli rispetto all’eventualità di un acquisto, poichè ancora si sentiva l’unico legittimo proprietario di quel bene. Solo Nardino Menchise sarebbe andato avanti lo stesso e una volta concluso l’affare avrebbe avviato la lavanderia dove da cinque anni a questa parte lavorava la moglie Ninetta, con l’aiuto della figlia Maria Donata. Di lì le liti sarebbero diventate mano a mano quotidiane.
In un’occasione Bruscella avrebbe minacciato la signora Di Palma con un’accetta, ma alla stazione dei carabinieri non risultano denunce in questo senso sebbene all’epoca sembra che fossero intervenuti, così nessuno ha mai pensato di ritirargli il porto d’armi. C’erano tanti segnali sparsi che non lasciavano prevedere quello che sarebbe successo, con l’anziano che all’improvviso rientra in casa, afferra il fucile, una scatola di cartucce e un coltellaccio, per andare sul sicuro. Quindici colpi dopo, tutti esplosi a distanza ravvicinata con le vittime supine a implorare la grazia, quel coltello non sarebbe servito. Lo hanno scoperto soltanto i carabinieri perquisendo l’autore della strage che a Genzano non dimenticheranno mai.

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