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Per l’evidenza della prova il pubblico ministero di Vibo, Michele Sirgiovanni, ha chiesto ed ottenuto il giudizio immediato per le quattro persone accusate degli omicidi dei cinque componenti della famiglia Fontana; la strage di Scaliti, risale alla sera del 26 dicembre dello scorso anno.
Il 21 febbraio prossimo, davanti ai giudici della corte di Assise di Catanzaro prenderà il via il processo a carico di Ercole Vangeli, 45 anni, il fratello Francesco Saverio (55), suo figlio Pietro (24) e il genero Gianni Mazzitello (31) tutti accusati in concorso dell’omicidio di Domenico Fontana di 61 anni e dei figli Pasquale (37), Pietro (36), Emilio (32) e Giovanni (19). Uccisi a colpi di fucile calibro 7,65 e calibro 9 mentre si trovavano chi all’interno, chi nelle vicinanze, della loro masseria sita in località “Olivara” nella frazione del piccolo comune del Vibonese.
A pesare sull’accoglimento della richiesta di giudizio immediato da parte del sostituto procuratore Sirgiovanni, la confessione di Ercole Vangeli e l’esito dello sub eseguito su tutti i quattro arrestati dagli specialisti del Ris di Messina che aveva certificato l’uso dell’arma da parte di Ercole, che nell’immediatezza dell’efferato episodio di sangue si era assunto la completa paternità del gesto, e del fratello. Esame che aveva scagionato Pietro Vangeli e Gianni Mazzitello per il quale sussiste il concorso morale nel fatto omicidiario.
Altro aspetto ritenuto rilevante è la dichiarazione resa dall’unico superstite della strage, il giovane romeno Ioan Sorin Gherman che nelle sue testimonianze aveva individuato nei Vangeli i responsabili dell’eccidio.
Il 2 febbraio scorso, il pm Sirgiovanni aveva chiesto ed ottenuto dal gip Lucia Monaco l’incidente probatorio che si era svolto il successivo 28 marzo e nel corso del quale sarebbero emerse alcune contraddizioni rispetto alla versione iniziale. Il giovane straniero avrebbe non confermato la sua versione nel frangente relativo agli esecutori materiali, dichiarando di aver visto sparare con sicurezza solo Ercole e non anche Pietro (nei confronti del quale si attendono le decisioni del tribunale del Riesame), mentre nel primo interrogatorio, come detto in precedenza, aveva riferito di aver visto un giovane impugnare la pistola e fare fuoco prima di rifugiarsi nella masseria. Testimonianza, questa, fortemente contestata dai legali della difesa (gli avvocati Domenico Talotta, Nicola Riso e Valerio Mangone) che avevano evidenziato la presenza di contraddizioni nel racconto puntando, pertanto, a smontare la tesi dell’accusa e provare a dimostrare la non attendibilità del cittadino straniero, in quanto già dopo i primi spari avrebbe lasciato precipitosamente il luogo cercando riparo dapprima all’interno della masseria e, successivamente, in un casolare sito nelle immediate vicinanze. Nonostante questo il quadro accusatorio non ne era uscito scalfito.
La strage, secondo l’accusa, fu compiuta per al culmine di una lite tra La famiglia Vangeli e quella dei Fontana; quest’ultima avrebbe nel tempo, compiuto una serie di soprusi ai danni dei primi anche in relazione al pascolo e alla delimitazione dei terreni. A confermare questo aspetto era stato lo stesso Ioan Gherman il quale aveva riferito al sostituto Sirgiovanni che il motivo del contendere tra le due famiglie era dovuto alla «pretesa dei Fontana di far pascolare il proprio gregge sui terreni, destinati per lo più ad uliveto, di proprietà dei Vangeli», aggiungendo un episodio in cui era stato minacciato da una persona alla guida di un fuoristrada di colore chiaro in quanto aveva portato il gregge a pascolare proprio sul terreno di proprietà degli indagati.

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