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VENOSA – Uno vendeva auto, ma da qualche tempo aveva assunto un galeotto, affidato ai servizi sociali per scontare il residuo di pena per un vecchio omicidio. Commerciante anche l’altro a cui i soldi da prestare non mancavano mai, e all’occorrenza gli “amici” da scomodare per i malcapitati in ritardo coi pagamenti.

Sono i tre destinatari dell’ordinanza di misure cautelari che è stata eseguita ieri mattina dai carabinieri della compagnia di Venosa al comando del capitano Vincenzo Varriale.

Si tratta di Salvatore Prago, 44enne di Venosa, il suo collaboratore Rocco Lagala, 52enne sempre di Venosa,e il 28enne di Melfi Santo Fabio Patriziano.

Per loro le accuse sono di usura ed estorsione per aver prestato denaro a tassi d’interesse tra il 240 e il 360 per cento all’anno.

In soldoni: per quelli a cui andava bene 5mila euro in un mese diventavano 6.100. Ma a chi andava male nello stesso tempo 4mila euro riuscivano a lievitare fino a 5.200. Una cravatta stretta sul collo di almeno 4 vittime accertate.

Le indagini sono state coordinate dal pm Francesco Diliso che ha chiesto e ottenuto anche il divieto di avvicinarsi a una delle vittime per una quarta persona: Nicoletta Massucca, moglie di Lagala. In più il sequestro della rivendita Autoprestige di “Rino” Prago.

Stando agli inquirenti quella in via Albergo Colonnello Ruggiero, nella periferia a nord della città di Orazio, era diventata una specie piccola centrale del credito abusivo. Di fatto oltre all’usura e all’estorsione viene contestato anche l’esercizio di attività finanziaria senza le dovute autorizzaazioni.

Di diverso avviso sul punto si è mostrato il gip Amerigo Palma per cui «difettando (allo stato) gli elementi dimostrativi del livello di diffusione tra un numero potenzialmente vasto di persone dell’attività illecita degli indagati (…) non si ritiene che le condotte di usura siano da sole sufficienti ad integrare necessariamente (…) anche i delitti di esercizio abusivo dell’attività finanziaria».

Troppo pochi – in altri termini – soltanto 4 casi. Di qui l’appello da parte di magistrati e carabinieri alle altre potenziali vittime rimaste nell’ombra perché si facciano avanti. 

A dare il via all’inchiesta agli inizi di aprile è stata la denuncia di una di loro, un imprenditore agricolo di Venosa. Poi si sono aggiunte le altre. «Intrinsecamente attendibili – secondo Palma – in quanto precise, coerenti e soprattutto spontanee perché risultano essere la conseguenza di una reiterata ed attuale condotta intimidatoria».

Il blitz negli uffici della Autoprestige, più case e luoghi di lavoro non solo degli indagati, ma anche degli imprenditori sotto strozzo, che erano in contatto l’uno con l’altro, è scattato a luglio.

Così sono saltati fuori documenti, assegni, cambiali varie in copia e in originale, che hanno confermato quanto già emerso dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. «Costanti contegni ad evidente sfondo intimidatorio», li chiama il gip. Rivolti a chi andava in sofferenza coi pagamenti per rientrare del prestito e degli interessi. Quando non si arrivava alla violenza vera e propria.

 

A quel punto c’è stato chi ha pensato di rivolgersi altrove per ripianare il debito col “mite” Prago e il vulcanico Lagala, condannato per l’omicidio di un giovane accoltellato nel 1999 all’uscita di un locale di Venosa. Per questo è finito nelle mani del melfitano Patriziano che applicava tassi d’interesse ancora più alti millantando amicizie con il clan dei Cassotta.   

l.amato@luedi.it


LE REAZIONI 

L’usura sta divorando Venosa», diceva lo scorso 31 ottobre Don marcello Cozzi, presidente della Fondazione antiusura Interesse Uomo, che ieri ha annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile se mai gli arrestati finiranno in Tribunale. Pensare che persino tra di loro c’era chi come Salvatore Prago sulla  pagina di facebook della sua rivendita d’auto aveva pensato bene di rilanciare quell’appello.

«L’operazione antiusura dei Carabinieri a Venosa, non solo ci dice quanto sia importante confidarsi con le forze dell’ordine e con le associazioni – è quanto ha dichiarato in una nota Don Cozzi – se ci si trova ad essere vittime degli usurai, non solo ci conferma l’importanza della denuncia come unica via per uscire da quell’abbraccio mortale, ma ci fornisce un altro dato importante: le autorità giudiziarie possono solo spezzare le catene e restituire la libertà, il compito nostro invece – cioè delle Istituzioni, delle Associazioni e delle Fondazioni Antiusura – sta nell’accompagnare le vittime in un percorso di riconquista della dignità perduta».

«Da questo momento in poi – prosegue il sacerdote che è anche il vicepresidente di Libera, nomi e numeri contro le mafie – a noi il compito e la responsabilità di far capire agli usurati che nel denunciare hanno fatto la cosa giusta e che dall’arresto dei propri carnefici ne avranno solo da guadagnare. A noi, e alle Istituzioni dello Stato, anche il compito di non lasciarli soli, a partire appunto, dalle aule dei tribunali».

«Ci rivolgiamo – scriveva Don Cozzi nel suo appello a ottobre – a chi subisce in silenzio e a quanti sanno ma non parlano: l’unico modo per ritrovare la libertà perduta è la denuncia. Non ci sono altre vie. Lo splendore di Venosa non può essere ostaggio di nessuna gabbia criminale».

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