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Che bel libro ha scritto Anna Maria Riviello. Cosa saranno mai queste donne? Perché tanto agire dell’intelletto attorno a ciò che è carne, sesso, processo di riproduzione (ormai anche autonomo), vocazione al ciclo della vita, attrazione antica che accompagna ogni ribellione? E dove avranno sbagliato in questa lunga stagione del secolo ormai andato quando con la forza e le lacrime, le partenze e il dolore, la voce e l’umiliazione, la battaglia e il rimorso hanno generato (sì, hanno generato) un nuovo mondo che oggi stenta ancora a rispondere alla domanda di sempre: che differenza c’è? Che poi è una domanda che ne sottende un’altra: ma ne vale la pena? Insomma qual è la posta in gioco se arriva sempre il momento in cui la vita ti chiede il conto?

Più scopro e conosco storie come quelle di Anna Maria Riviello più mi chiedo cosa la mia generazione abbia fatto per dare la spallata finale. Poco, pochissimo se stiamo ancora qui a discutere di un posto in più in un listino. Ma ogni storia ha il suo assestamento, l’equilibrio dopo la rottura, un cammino lento su un percorso tracciato.

“Ho amato Simone De Beauvoir” è la storia della vita di Annamaria, o meglio della vita come i ricordi gliela consegnano. Ed è una vita che sta dentro la storia di una militanza che è quella storica dell’UDI e del Pci. Non è un storia di provincia, e non solo perché lo scorrere degli anni si accompagna a partenze e ritorni – Roma, Potenza – ma perché è il fervore di un’epoca a dare respiro e apertura a un’esperienza. Ricordo di aver conosciuto un’altra Anna Maria. Anna Maria Longo, a Catanzaro, dunque ancora più a Sud, coetanea di esperienza e di militanza della Riviello. Quante Anna Maria ci sono state in quegli anni sparse per l’Italia? La geografia si ricuce attorno a un flusso che è stato quello di una lunga conversazione sulla demistificazione femminile, né diavolo né Madonna. Nella domanda che apre il libro, la domanda della nipotina: ma esiste Dio? sta il senso di questa storia. Viene da rispondere che per noi donne no, Dio non può esistere o se esiste è immanente, perché ora e qui scorre il tempo della nostra reincarnazione fatta di lutti e di rinascite, di morte, di alba di battaglia, di condivisione e poi profonda solitudine, di anello che si spezza e si rinsalda (sempre allo stesso modo, dannazione) tra madre e figlia. Vorrei dire ad Anna Maria che la sua generazione non è passata invano, è servita a capire che tutto era alla nostra portata e ci ha insegnato a guardare il cielo vuoto, come avrebbe detto Simone. Qui, forse, leggo io la grande conquista: la libertà di scegliere. Che rimane tutta teorica, se attorno il riflusso della storia si rimangia le opportunità. Il senso obbligato di una vita, quello contro cui Anna Maria e le altre hanno combattuto oggi è in bilico sul ventaglio delle possibilità. Per certi aspetti è ancora più vertiginoso, perché è sempre così quando devi assumerti la responsabilità di andare o di qua o di là. Ma è ancora qui, forse, che ci siamo perse. Abbattuto il muro a un tratto la paura.

Se oggi un corredo ricamato a mano è solo il prezioso recupero di una tradizione, resta intatta ieri come oggi la disperazione consapevole che accompagna il nostro cammino di bellezza e virtù tradite. Forse i racconti e i libri come questo di Anna Maria Riviello servono e fermarsi un attimo per ammettere che c’è quella benedetta domanda che non la mandi via, riaffiora sempre e ti condanna a pensare che forse era meglio credere in Dio. Quella domanda alla fine della corsa la consegni alle altre: ed è sempre la stessa, semplice semplice: ma ne è valsa la pena?

l.serino@luedi.it

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