X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – Di per sè il progetto era buono. Ma sono le troppe anomalie di gestione ad aver trasformato Sviluppo Basilicata, l’erede di Sviluppo Italia acquisita nel 2009 dalla Regione, in una società “malata”. A partire dalla sua natura sociale. Accreditata come società in house, ovvero abilitata a operare a tutti gli effetti per conto della Regione Basilicata nel settore finanziario – (in teoria) a sostegno dello sviluppo, della ricerca e della competitività del territorio –  è definita nel suo statuto come società di intermediazione finanziaria. «Una grossa anomalia», hanno spiegato ieri il senatore Tito Di Maggio e il consigliere regionale Ernesto Navazio, che sul caso hanno voluto convocare una conferenza stampa ad hoc. L’ex sindaco di Melfi annuncia: «Lunedì scriverò una lettera all’Autorità garante per i contratti pubblici per segnalare la cosa».  «Un fatto grave». E Navazio spiega perché: «Se Sviluppo Basilicata può gestire servizi e bandi in maniera diretta, senza partecipare a gare pubbliche, anche su risorse europee, è proprio in virtù della sua natura di società in house. Se invece si occupa di intermediazione finanziaria è ben altra cosa». I due esponenti di Scelta Civica promettono linea dura.

L’iniziativa nasce a seguito della recente requisitoria della Corte dei Conti che a propositi della Spa ha parlato chiaramente di un «costoso sistema di neosocialismo locale». In particolare nella lente della magistratura contabile è finita l’operazione di acquisizione della ex Sviluppo Italia da parte della Regione, per una valore di oltre due milioni di euro che non ha tenuto conto delle passività che gravavano sulle casse della società. Ma non c’è solo questo a fare della struttura diretta dall’amministratore unico Raffaele Ricciuti il solito carrozzone improduttivo, necessitante di una riorganizzazione urgente. Prima di tutto il mandato dell’attuale amministratore è scaduto da quasi due anni. La Giunta non ha provveduto a nominare una nuova guida. Ricciuti resta al suo posto. Solo che atti ufficiali di una sua riconferma non ce sono. O almeno non se ne ha alcuna notizia. E la cosa non è proprio normale: la società essendo a tutti gli effetti pubblica, controllata al cento per cento dalla Regione Basilicata, sarebbe tenuta a garantire la massima trasparenza. Solo che all’interno se ne dimenticano spesso. Capita così di imbattersi in avvisi pubblici per l’affidamento di vari incarichi senza che ne sia data adeguata informazione per garantire parità di accesso. O che per consultare la graduatoria dei vincitori di un selezione sia necessario avere un codice fiscale ad hoc senza il quale non è possibile scorrere i risultati. Insomma, Sviluppo Basilicata si comporta a tutti gli effetti come se non dovesse dar conto a nessuno. Senza tener conto del fatto che negli anni passati, e per più di una volta, in maniera consecutiva, la società che dovrebbe favorire la crescita economica del territorio ha chiuso i bilanci con i conti in rosso. «Sviluppo Basilicata brucia risorse senza creare vantaggi alle imprese», affonda Di Maggio. E’ non solo uno slogan.

Da qualche anno, almeno a guardare i documenti ufficiali, sembra che il problema sia stato risolto. «E certo, con il loro metodo è facile rimettere i conti a posto», ironizza il senatore.

 Che par far capire la questione si è portato dietro le prove. Una delibera di Giunta, la numero 458 del 30 aprile del 2013, relativa a un progetto operativo a favore dei distretti produttivi. Più di un milione di euro finanziato per metà dal ministero e la per la restante parte dal programma operativo Fesr 2007-2013. Di questi 630.000 sono stati gestiti direttamente da Sviluppo Basilicata che ha intenzione di rendicontarli così: 15.000 euro serviranno a coprire i costi del materiale informativo e pubblicitario, 30.000 per consulenze e docenze, altri 30.000 per incontri ed eventi, 40.000 per le attrezzature, software e arredi.

 Ma la parte più sostanziosa andrà altrove. Non alle imprese ma all’interno della stessa Sviluppo Basilicata. Ben 515.000 euro, infatti, saranno utilizzati per pagare il personale (risorse interne ed esterne) e per spese di missioni. Altro che aiuti alle aziende, la società pensa solo ad aiutare se stessa. «Questo è l’esempio di una governance che va cambiata», dice il consigliere Ernesto Navazio, che in mano ha un’altra delibera.

Quella con cui la Giunta regionale non ha inteso dismettere le partecipazioni della società di capitale. «Una delibera approvata per ben due volte. Ma la materia è di competenza del Consiglio. Chiaramente si fa di tutto pur di nascondere il sistema fallimentare delle società partecipate e degli enti strumentali».  E Sviluppo Basilicata ne è uno degli esempi peggiori.

m.labanca@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE