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di PIERCAMILLO DAVIGO

Sono passati vent’anni da quando, il 17 febbraio 1992, a Milano fu arrestato Mario Chiesa, fatto che è stato considerato l’inizio di quelle indagini che i mezzi di informazione hanno chiamato «Mani pulite». Quella non era la prima volta in cui un pubblico amministratore veniva sorpreso in flagranza di corruzione, e non fu l’ultima. Per quale ragione, vent’anni dopo, quell’accadimento viene ancora ricordato, tanto da portare alla seconda edizione di un volume che ricostruisce quella vicenda e quelle che seguirono? Credo che la spiegazione sia da ricercare nel sorprendente (anche per gli inquirenti) sviluppo delle indagini, innescate da quell’episodio, che in un tempo relativamente breve (specie se rapportato ai tempi dell’amministrazione giudiziaria) portò alla scoperta di un numero impressionante di reati e al coinvolgimento di migliaia di politici, funzionari e imprenditori. Che cosa aveva fatto la differenza fra quelle indagini rispetto ad altre precedenti e successive? In questi vent’anni si sono sentite in proposito, da parte di vari commentatori, numerose sciocchezze, quali «lo sapevano tutti», «dov’era prima la magistratura?», «è stato un golpe» (orchestrato, a seconda dell’ideologia di chi sosteneva tale tesi, dai comunisti, dalla Cia, dai poteri forti ecc.) e altre stravaganze.
Anzitutto non è vero che «lo sapevano tutti». Né i miei colleghi né io, pur avendo la percezione che i reati di concussione, corruzione, finanziamento illecito dei partiti politici e false comunicazioni sociali fossero ben più numerosi di quanto risultava dalle statistiche giudiziarie, immaginavamo le dimensioni dell’illegalità, quali emersero dalle indagini. Neppure i cittadini immaginavano che la corruzione avesse raggiunto tali dimensioni e soprattutto che appartenenti a partiti di opposti schieramenti si dividessero le tangenti, e rimasero attoniti quando Bettino Craxi, alla Camera dei deputati il 29 aprile 1993, parlò di un sistema di finanziamento illegale alla politica che coinvolgeva tutti, senza che nessuno dei deputati presenti in aula (fra cui certamente ve ne erano pure di onesti, ma ignari di ciò che era accaduto all’interno dei loro partiti) si alzasse a rivendicare la propria estraneità e il proprio sdegno nel sentirsi accomunare al generale ladrocinio (…) Quanto alla tesi del golpe, un briciolo di buon senso sarebbe sufficiente a ricordare che chi fa affermazioni così devastanti dovrebbe adempiere all’onore di supportarle con fatti. Rimane il fatto che in quella vicenda gli esiti delle indagini furono diversi da quelli di procedimenti anteriori e successivi, pur talvolta condotti dalle stesse persone fisiche, con uguale determinazione.
1992
Il sistema entra in crisi Bisogna allora cercare di individuare le ragioni per le quali questo è avvenuto e perché allora. Anzitutto perché, come ha insegnato il professor Franco Cordero, la caccia e la preda sono due cose distinte. Si può andare a caccia seguendo le regole venatorie e non prendere nulla, così come si può essere pessimi cacciatori e tuttavia avere fortuna, tornando dalla battuta con un ricco bottino. Tuttavia ritengo che siano individuabili alcuni specifici fattori che possono contribuire a spiegare l’esito particolarmente favorevole che quelle indagini ebbero nel periodo dal 1992 al 1995. L’enorme debito pubblico e la crisi economica del 1992 avevano determinato la riduzione della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi e questa, a sua volta, aveva ridotto la possibilità per i corruttori di traslare le tangenti sulla pubblica amministrazione e di sperare in futuri lucrosi appalti. Molti imprenditori, che fino ad allora avevano partecipato a cartelli corruttivi, si scoprirono concussi e, anziché far fronte comune con i corrotti, cominciarono a scaricarli, fornendo agli inquirenti l’elenco delle tangenti pagate. All’inizio i vertici dei partiti scaricavano i soggetti che venivano arrestati, descrivendoli come mariuoli isolati, singole mele marce. E quelli, sentendosi abbandonati dai loro complici, descrivevano il resto del cestino delle mele. Ciò determinò una reazione a catena nelle chiamate in correità incrociate e quello che in questo volume viene chiamato «effetto domino». Le indagini fecero emergere che la corruzione è un fenomeno seriale e diffusivo: quando qualcuno viene trovato con le mani nel sacco, di solito non è la prima volta che lo fa. Inoltre i corrotti tendono a creare un ambiente favorevole alla corruzione, coinvolgendo nei reati altri soggetti, in modo da acquisirne la complicità fino a che sono le persone oneste a essere isolate. Ciò indusse ad affrontare questi reati con la consapevolezza che non si trattava di comportamenti episodici e isolati, ma di delitti seriali che coinvolgevano un rilevante numero di persone, fino a dar vita ad ampi mercati illegali. Nel 1992, con il crollo delle ideologie, era anche entrata in crisi la tradizionale forma-partito come strumento di aggregazione del consenso e soggetto destinatario dell’assoluta fedeltà degli iscritti. Ricordo che in una trasmissione televisiva, poco dopo l’arresto del segretario cittadino del Pds, un iscritto a quel partito, intervistato, commentò il fatto dicendo che da trent’anni andava ai festival dell’Unità come volontario a cuocere le salamelle sulla griglia e che ora veniva a sapere che, mentre lui girava le salamelle sulla griglia, i suoi capi rubavano, e concludeva dicendo che dovevano andare in galera. L’insieme di queste cause consentì la scoperta della vasta trama di corruzione, e la reazione dell’opinione pubblica, la cui sensibilità era acuita dalla crisi economica, ebbe effetti (all’apparenza) dirompenti sul panorama politico: scomparvero dalla scena politica cinque partiti, quello di maggioranza relativa (Democrazia cristiana) e altri quattro (Partito socialista italiano, Partito socialdemocratico italiano, Partito repubblicano italiano e Partito liberale italiano), tre dei quali avevano più di cento anni. (…)
2012
Per l’insipienza di chi li sferrava, gli attacchi hanno investito non solo i magistrati del pubblico ministero, ma anche tutti i giudici di ogni grado, fino alle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, così ottenendo il risultato di tenere uniti i magistrati. Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora inchieste e processi sui reati della classe dirigente, nati quasi sempre da iniziative giudiziarie e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le guarentigie di indipendenza dal potere politico che tutelano i magistrati, sicché tale iniziativa non è da loro esigibile), è segno che la magistratura è riuscita a conservare la sua indipendenza. La crisi economica che oggi, come nel 1992, grava sul paese probabilmente ridarà slancio a iniziative serie per ridurre la corruzione e di conseguenza a una repressione più incisiva. Tuttavia tanti anni sono passati invano ed è necessario ricominciare dall’inizio a fronteggiare questi fenomeni, che contribuiscono a rendere l’Italia poco efficiente e poco credibile sul piano internazionale, per l’ingente sperpero di risorse pubbliche, i tempi biblici per la realizzazione di opere pubbliche e la scarsa qualità dei beni e servizi acquistati dalle pubbliche amministrazioni, quantomeno sotto il profilo qualità-prezzo. Allora è necessario ricordare i fatti accaduti vent’anni or sono perché quello è stato il momento in cui le reali dimensioni della corruzione in Italia sono cominciate a emergere e dai fatti accertati possono essere tratti elementi utili per fronteggiare seriamente queste attività delittuose. (…) Il racconto dei fatti, ricostruiti con certosina pazienza e con la maestria che contraddistingue gli autori, spazza via le sciocchezze e le menzogne che per anni sono state divulgate dai mezzi di informazione. Accanto ai delitti commessi emerge con nitore l’incapacità (se non peggio) della classe dirigente di questo paese di creare le condizioni perché si possa vivere secondo le regole comunemente accettate del mondo occidentale, del quale dichiariamo di voler far parte. Quest’opera è un vademecum che aiuterà a ricordare ciò che è accaduto, perché è l’oblio dei misfatti che lentamente consuma la libertà delle istituzioni.

(dalla prefazione di Piercamillo Davigo alla seconda edizione di “Mani pulite” di Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio. Chiarelettere, Milano 2012)

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