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REGGIO CALABRIA – Beni del valore di undici milioni di euro sono stati sequestrati dai finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico di Roma, con la collaborazione del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria.

Su disposizione della Procura distrettuale antimafia e della sezione Misure di prevenzione del Tribunale reggino, sono stati messi i sigilli a un ingente patrimonio riconducibile a importanti esponenti di cosche di ‘ndrangheta operanti nella Piana di Gioia Tauro. L’operazione trae spunto dall’indagine nota come “Il Crimine” che aveva consentito di fare luce sui rilevanti investimenti fatti dalle principali cosche di ‘ndrangheta. Complessivamente sono stati sequestrati 28 beni immobili (terreni, fabbricati e complessi immobiliari), 17 società, 4 autovetture e varie disponibilità finanziarie.

Sono state irrogate anche nove misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale nei confronti di altrettanti soggetti affiliati ai clan.

Il sequestro è giunto a conclusione di oltre 200 accertamenti economico-patrimoniali svolti dalla Guardia di finanza a carico di persone fisiche e giuridiche coinvolte nell’operazione Crimine che ha evidenziato l’unitarietà della ‘ndrangheta. Accertamenti sono stati compiuti anche sui componenti dell’intero nucleo familiare del «Capocrimine» Domenico Oppedisano, di 85 anni, del «mastro di giornata della Società di Rosarno» Michele Marasco, del «capo del locale di Laureana di Borrello” Rocco Lamari, del «capo del locale di Oppido Mamertina» Antonio Gattellari e del «capo del locale di Bagnara Calabra» Rocco Zoccali.

Dalle indagini è emersa la sperequazione tra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale accertato. Quindi è stata fatta una nuova e definitiva analisi contabile, che, riferisce la Finanza, ha consentito di evidenziare un eccezionale arricchimento patrimoniale dei proposti, realizzato nel corso dell’ultimo ventennio, conseguendo ingiusti ed illeciti profitti e vantaggi, frutto del controllo del territorio «di competenza” e delle relative attività economiche e produttive. Le indagini – riferiscono gli investigatori – sono state complicate dalla «minuziosa capacità dei soggetti investigati di smascherare la reale intestazione dei beni mobili e immobili e delle attività economiche intestate a terzi, ma da loro gestite da anni». 

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