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POTENZA – Si ritroveranno l’uno di fronte all’altro Giuseppe Borrelli e Gaetano Bonomi (in foto): il pm che sta conducendo l’ultima inchiesta sulle toghe lucane; e il sostituto procuratore generale di Potenza che è accusato di aver messo in piedi almeno un paio di associazioni segrete per arrivare al vertice degli uffici inquirenti del capoluogo. L’interrogatorio è previsto questa mattina a Potenza, e già ieri in tarda serata gli inquirenti sono arrivati in città da Catanzaro, ma c’è il rischio concreto che tutto si risolva con un nulla di fatto se si considera che non appena ricevuto l’avviso a comparire Bonomi ha presentato una serie di denunce contro lo stesso Borrelli. Quella che si profila è una questione di opportunità. Si può considerare ancora sereno nei confronti di un indagato quel magistrato che è stato denunciato dallo stesso indagato? O dovrebbe astenersi dato che è intervenuta un fatto personale come una denuncia? Soltanto se il punto verrà superato si potrà procedere con le domande, fermo restando che Bonomi potrebbe anche avvalersi della facoltà di non rispondere.
La gran parte degli atti a sostegno dell’accusa resta infatti coperta da segreto istruttorio. Quali siano di preciso le carte in mano agli inquirenti non si sa, ma si parla di migliaia di intercettazioni, alcune anche molto risalenti, ereditate dal fascicolo dell’inchiesta originale dell’ex pm Luigi De Magistris. L’esposto anonimo a firma del «signor Sicofante» in cui Henry John Woodcock, uno dei suoi più stretti collaboratori e il gip Alberto Iannuzzi venivano indicati come gli autori di una serie di clamorose fughe di notizie non sarebbe l’unico attribuito alla fucina di Bonomi. Un secondo sarebbe stato individuato da una sezione specializzata in grafologia della polizia scientifica Roma. Stesso carattere, stile, spaziatura e dimensione delle lettere. Identica formulazione dei paragrafi per formattazione, giustificazione e tratti di apertura e chiusura. Per gli inquirenti è quasi certo che «Sicofante» è l’autore anche di questo. Si tratta di un esposto precedente di qualche mese che comunque ha a che vedere con la vicenda principale perchè conteneva una denuncia dettagliata, e per questo presa in considerazione una volta arrivata negli uffici della Procura di Potenza, su un ipotetico abuso che l’ispettore Pasquale Di Tolla, in servizio alla squadra mobile e braccio destro del pm Henry John Woodcock avrebbe fatto del suo cellulare di servizio.
Quell’esposto avrebbe dato il “la” a un’indagine affidata al pm Claudia De Luca, che è tra i magistrati convocati da Borrelli nei prossimi giorni. È così che sarebbero saltati fuori i tabulati di quelle utenze che il «signor Sicofante» ha allegato alla lettera inviata a febbraio del 2009. Uno degli investigatori ai quali la De Luca aveva affidato gli accertamenti sul caso avrebbe chiesto i tabulati alle compagnie telefoniche e una volta arrivati a Potenza sarebbero entrati in possesso di Bonomi e compagnia. La ricostruzione di questo passaggio è fondamentale per l’accusa perchè servirebbe per delineare l’esistenza di alcuni procacciatori di notizie riservate che poi venivano riferite al sostituto procuratore generale.
Da quei tabulati «Sicofante» avrebbe poi dedotto che Di Tolla d’accordo con Woodcock sarebbe stato chi ha dato all’imprenditore al centro dell’inchiesta sulle corruttele dietro gli appalti per le estrazioni di petrolio nella valle del Sauro i brogliacci di alcune intercettazioni nella sua auto. Un falso clamoroso smascherato da alcune note in cui lo stesso Di Tolla giustificava quelle telefonate con una convocazione per sottoporre ad interrogatorio la persona che avrebbe fatto da ponte con l’imprenditore.

Leo Amato

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