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di Vito Bubbico

PER una strana coincidenza di eventi, l’indignazione mondiale che sta crescendo nei confronti dello strapotere finanziario costituito e che non vuole schiodare a fronte dei danni che sta arrecando alle popolazioni del pianeta, si sta intrecciando in questi giorni con una indignazione specificamente lucana. Dettata da quel torbido che sta emergendo intorno alla vicenda Fenice. Sulla bacheca di facebook abbiamo trovato questo post: “Fenice è una brutta storia.
I dirigenti generali non sanno. Gli assessori all’ambiente non sanno. Perchè il popolo dovrebbe ancora avere fiducia in questi amministratori? Perchè il Pd ha ancora fiducia in costoro? Vogliamo gente capace nelle istituzioni e che sappia quello che fa, nell’interesse del popolo lucano. E’ tempo che vadano a casa”. Si potrebbe derubricarlo a sfogo di un singolo ma ci è sembrata una efficace sintesi dello stato d’animo di un ampia fetta di lucani. Anche di coloro che questa classe dirigente l’hanno votata e in cui hanno creduto. Anche quando essa li ha rassicurati nel tempo a fronte delle denunce provenienti da cittadini singoli o associati. Farebbero bene, quindi, gli esponenti più avvertiti a non sottovalutare questa indignazione crescente e né a trattarla con il fastidio (e lo spocchioso silenzio) a cui purtroppo ci hanno abituati. Lo sconcerto è grande, anche tra chi non è un nemico preconcetto del centrosinistra al governo, per questa ennesima toppata della politica. Per questo suo giungere ancora e sempre in ritardo e solo dopo la “surroga” dei giudici di turno. Le domande certo fastidiose ma persino banali che sono sulla bocca di tutti (perché non si è dato ascolto prima alle numerose denunce e segnalazioni di cittadini ed associazioni sulla pericolosità di quell’impianto? Perché bloccarlo solo dopo il tintinnio delle manette? Quanti danni in più sono stati arrecati e che si sarebbero potuti evitare?) non possono essere eluse. Vanno soddisfatte a pieno e non certo con rituali comunicati stampa che ribadiscono “la fiducia nella magistratura” e qualche risibile difesa d’ufficio. Vanno soddisfatte con una altisonante e coraggiosa campagna di chiarificazione di massa, tra i cittadini e sulla stampa. Perché questo è il classico momento topico in cui chi ha responsabilità politiche ed ha vera stoffa di dirigente esce allo scoperto e affronta la situazione a viso aperto. Perché ora sembra sia saltato un tappo. E lo scenario diviene più torbido nel momento in cui nella mente di ognuno si compone un puzzle inquietante. Quello che ai veleni di Fenice aggiunge le estrazioni di petrolio della Val d’Agri con tutti gli annessi risvolti – anche lì irrisolti delle denunce di danni e delle rassicurazioni. E poi ancora l’antica, minacciosa e misteriosa presenza delle barre di uranio a Rotondella, con le cicliche denunce di riversamenti in terra e in mare di liquidi radioattivi spesso derubricate a fisime di singoli. Nel mentre si staglia all’orizzonte la probabile imminente convivenza con il mega deposito di gas della Geogastock in quella Valbasento già abbondantemente inquinata ed ancora in attesa di una profonda azione di bonifica, sempre annunciata e mai messa in atto. Tutto questo al netto delle periodiche istillazioni di sospetti e dubbi sulla esistenza di discariche abusive di materiale altamente inquinante sotterrate in qualche sperduto calanco del materano. Per non parlare dei fondali marini a ridosso delle coste e delle strane morie di pesci negli invasi e nei corsi d’acqua. Dulcis in fundo, a fare da collante di tutta questa situazione ambientale disastrosa la notizia di un aumento esponenziale dei casi di tumore nella nostra regione che si collocherebbe addirittura ai primi posti di questa triste classifica. E’ evidente che si sta condensando una miscela altamente esplosiva. E’ evidente che siamo in presenza di una congiuntura dalle conseguenze imprevedibili che possono persino minare gli attuali equilibri di potere. Perché non siamo in presenza del solito episodio che può alimentare sfiducia ma in modo “fisiologico” e quindi recuperabile. No, qui è evidente che siamo di fronte a qualcosa di più profondo e grave. Qui c’è il rischio della perdita totale di credibilità di una intera classe dirigente. Che sta visibilmente annaspando di fronte agli eventi, evidenziando ancora una volta tutta la debolezza del sistema politico-amministrativo in essere. Un sistema che paga lo scotto di avere annullato completamente le antenne sul territorio concentrando tutte le funzioni nella figura degli eletti. Eletti che, proprio in assenza di stimoli e di richieste autentiche e permanenti di rendiconto del proprio operato, risultano sempre più autoreferenziali, isolati e presi dalle guerre (spesso fratricide) per la propria sopravvivenza politica. Con il proprio tempo e attenzione largamente sottratti ai problemi che si trovano a dover maneggiare. Una condizione che anche laddove non ci fosse dolo (cosa che toccherà alla magistratura accertare) tende ad indurre oggettivamente il responsabile politico-amministrativo di turno o ad una colpevole inerzia o a porre scarsa attenzione a tutto ciò che non sia strettamente correlato alla immediata tenuta o ampliamento del personale consenso. E’ evidente che un sistema siffatto non è idoneo al buon governo della cosa pubblica e prima o poi porta a pagare pegno. Con questa vicenda (al di là dell’aspetto giudiziario) esso tocca il suo punto di crisi più alto. L’occasione potrebbe essere colta per un suo superamento nell’interesse di tutti (amministratori ed amministrati). Ma non è dato sapere se ai livelli alti del governo regionale sia chiara la consapevolezza del rischio di essere trascinati giù nei gorghi della palude in cui ci si è cacciati con questo modus operandi. Eppure il vero politico sa che anche da situazioni simili è possibile uscirne in positivo. A patto di non prescindere da una condizione minima. Ovvero che qualcuno, per ruolo e competenza, prenda in mano la situazione e assuma in pieno la necessità di dire parole chiare e coraggiose. Magari ammettendo limiti ed errori. Ma il silenzio nelle riunioni pubbliche o le frasi di circostanza che la cronaca di queste ore ci ha consegnato non vanno certo in questa direzione. Eppure come non comprendere che la partita che si gioca sul piano politico è più profonda rispetto alla vicenda giudiziaria? Quest’ultima –infatti- riguarda le responsabilità dei singoli che vanno chiarite senza sconti per nessuno e per questo separate cautelativamente e tempestivamente dal tutto. Proprio per evitare che esse (quant’anche accertate) possano trascinare con se le sorti di un intero progetto politico amministrativo su cui la gente di Lucania ha ancora così ampiamente scommesso. Solo pochi mesi fa. Ma sussiste ancora una autorità politica (singola o collettiva) in grado di prendere in mano la vicenda e fare mosse forti in tale direzione? Il Pd, il partito regione (a cui competerebbe questo ruolo), è nella condizione di assolvere a tale compito? I dubbi sono forti e la speranza che ciò accada al momento risiede solo nel nome del suo massimo rappresentante. Nel mentre la situazione precipita tra le braccia festanti dell’antipolitica dilagante.

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