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VIBO VALENTIA – Luigi Mancuso è un uomo libero, cinquantotto anni, è il numero uno del «locale di Limbadi», tra i boss più potenti su scala nazionale ed internazionale. Colui il quale, parlando a nome di tutte le famiglie calabresi, seppe opporre un secco rifiuto agli emissari di Totò Riina, incontrati in un summit svoltosi nel 1992 a Nicotera, riguardo un eventuale appoggio delle ‘ndrine alla strategia della tensione e dello stragismo di Cosa nostra, alla guerra allo Stato. In base alla condanna ricevuta doveva restare in carcere ancora diversi anni, ma ha ottenuto una scarcerazione anticipata grazie alle maglie larghe dell’ordinamento e alle capacità dei suoi difensori. Era detenuto dal 3  giugno 1993. Ha trascorso dodici anni, dal 1998 al 2010, in regime di carcere duro. Doveva scontare ventun’anni (diciotto per narcotraffico e tre in continuazione per associazione mafiosa) vista la pena definitiva inflittagli all’epilogo del processo “Tirreno”. A questi andavano aggiunti altri 19 anni (quindici per spaccio aggravato più quattro per la continuazione tra i reati) per la condanna definitiva nel processo milanese “Countdown”. Trent’anni in tutto, quindi, ridottisi drasticamente a diciannove. Una partita vinta dai suoi legali – gli avvocati Aldo Ferraro e Franco Lojacono – attraverso l’incidente di esecuzione svoltosi davanti alla Corte d’assise d’appello di Messina. La Corte di Cassazione, infatti, pronunciandosi sulla sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria a carico di un imputato di “Tirreno”, aveva annullato e rinviato ai giudici peloritani a cui era passata quindi la competenza anche per l’incidente d’esecuzione sulla pena di Mancuso. Messina aveva rideterminato assumendo come pena base i ventun’anni di Tirreno, la condanna più grave, aumentata di un terzo (quindi fino a ventotto anni, in luogo dei trenta da scontare). Da qui il ricorso in Cassazione degli avvocati Ferraro e Lojacono. Il 17 luglio il giudizio di rinvio, ancora a Messina, all’esito della quale è stato riconosciuto come la pena base fosse la condanna a diciotto anni per narcotraffico di “Tirreno”, mentre i tre anni per associazione mafiosa (sempre di “Tirreno”) sono stati ridotti a due e i diciannove anni di “Countdown” a soli tre. In sostanza diciotto, più due, più tre: ventitré anni da scontare. Se così fosse stato, Luigi  Mancuso sarebbe uscito dal carcere nel 2016. Ma il boss ha ottenuto altri quattro anni di sconto in virtù del riconosci mento del diritto alla liberazione anticipata. Quindi diciannove anni in luogo dei trenta iniziali: pena espiata con undici anni d’anticipo.

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