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POTENZA – E’ prevista per oggi la ripresa del processo d’appello per il senatore Pd Salvatore Margiotta, e dell’udienza preliminare per lo scandalo Fenice-Arpab-Pallareta a carico, tra gli altri, del consigliere regionale uscente Erminio Restaino e del candidato, già sindaco del capoluogo, Vito Santarsiero (sempre del Pd).
Per entrambi è attesa la decisione, ma in serata è più probabile che si arrivi a sentenza soltanto per il primo. Il motivo sarebbe proprio la concomitanza delle due discussioni. Infatti, al termine delle arringhe dei colleghi e delle eventuali dichiarazioni spontanee da parte qualcuno degli imputati, l’avvocato Tuccino Pace, che assiste sia di Margiotta sia Restaino, potrebbe chiedere un rinvio della seconda, trattandosi – a buon conto – di fatti più recenti. Mentre è ormai da due anni e mezzo che si trascina l’epilogo della vicenda giudiziaria di Margiotta, dopo l’assoluzione in primo grado e il ricorso avanzato dalla Procura della Repubblica di Potenza.
Per il senatore le accuse sono sempre quelle che gli sono state mosse nell’ambito dell’inchiesta soprannominata Totalgate, l’ultimo lascito del pm Henry John Woodcock che a dicembre del 2008, aveva chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari anche per l’allora deputato del Pd. Assieme a lui figuravano indagati diversi imprenditori locali più il vecchio management di Total Italia, tutti accusati di corruzione e turbativa d’asta in relazione alla gara da 26 milioni di euro per le opere civili necessarie alla costruzione del nuovo centro oli di Corleto Perticara, l’infrastruttura fondamentale del programma di estrazioni nella valle del Sauro. 
L’esecuzione della misura cautelare nei confronti di Margiotta sarebbe stata negata dalla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera prima ancora che il Tribunale del riesame l’annullasse – in maniera a dir poco clamorosa – per mancanza dei «gravi indizi» di colpevolezza. Ma il pm anglo-napoletano a distanza di qualche mese avrebbe chiesto comunque il rinvio a giudizio per corruzione con l’imputazione di essersi attivato per favorire le mire sull’appalto in questione di Francesco Ferrara, un noto imprenditore di Policoro, in cambio della promessa di 200mila euro. 
Di fatto le indagini patrimoniali avrebbero escluso un arricchimento del genere quindi è rimasta la promessa e basta, e a maggio del 2011 il gup di Potenza ha sentenziato per l’assoluzione di Margiotta che intanto aveva optato per il rito abbreviato (per quasi tutti gli altri il rinvio a giudizio è arrivato a maggio del 2012 e il dibattimento è ancora alle fasi iniziali). 
Depositato il ricorso in Corte d’appello della Procura a novembre del 2011 perché la questione tornasse in aula c’è stato bisogno di attendere fino ad aprile di quest’anno, con la richiesta della condanna al minimo della pena da parte della procura generale, e la difesa fermissima per la conferma dell’assoluzione. 
Ma quando sembrava tutto pronto per i titoli di coda è arrivata la decisione di riaprire il dibattimento da parte della corte composta dal presidente Vincenzo Autera e dai giudici a latere Francesco Verdoliva e Pasquale Materi. Così a giugno in aula sono state risentite le intercettazioni in cui Ferrara parla di «Salvatore» e di quei 200mila euro, su cui in sostanza si gioca tutto il processo. 
Molto più complesso e variegato il materiale al centro del processo sull’inchiesta scandalo Arpab-Fenice-Pallareta, in cui sono coinvolte 34 persone assieme all’ex dg e all’ex coordinatore provinciale dell’Agenzia per l’ambiente, Vincenzo Sigillito e Bruno Bove. Per loro l’accusa è di essere stati a capo di una vera e propria associazione a delinquere costituita ai vertici dell’ente di via della Fisica. Per questo a ottobre del 2011 finiti anche ai domiciliari. Poi ci sono Fenice e Tempor spa: la prima che è la società che di fatto gestisce l’impianto al centro del caso di inquinamento ambientale più eclatante degli ultimi anni in Basilicata (stando agli inquirenti la nascita recente di Fenice ambiente srl sarebbe solo un’escamotage per cercare di arginare i possibili contraccolpi giudiziari dell’inchiesta); e la nota agenzia di lavoro interinale. 
L’accusa più grave resta il disastro colposo per la contaminazione della falda acquifera sotto il termovalorizzatore Fenice, un evento di portata devastante dalle conseguenze difficili da calcolare, che sarebbe stato occultato dai funzionari dell’Arpab e i manager di Fenice che si sono avvicendati dal 2001 al 2010. 
l.amato@luedi.it

POTENZA – E’ prevista per oggi la ripresa del processo d’appello per il senatore Pd Salvatore Margiotta, e dell’udienza preliminare per lo scandalo Fenice-Arpab-Pallareta a carico, tra gli altri, del consigliere regionale uscente Erminio Restaino e del candidato, già sindaco del capoluogo, Vito Santarsiero (sempre del Pd).

Per entrambi è attesa la decisione, ma in serata è più probabile che si arrivi a sentenza soltanto per il primo. Il motivo sarebbe proprio la concomitanza delle due discussioni. Infatti, al termine delle arringhe dei colleghi e delle eventuali dichiarazioni spontanee da parte qualcuno degli imputati, l’avvocato Tuccino Pace, che assiste sia di Margiotta sia Restaino, potrebbe chiedere un rinvio della seconda, trattandosi – a buon conto – di fatti più recenti. Mentre è ormai da due anni e mezzo che si trascina l’epilogo della vicenda giudiziaria di Margiotta, dopo l’assoluzione in primo grado e il ricorso avanzato dalla Procura della Repubblica di Potenza.

Per il senatore le accuse sono sempre quelle che gli sono state mosse nell’ambito dell’inchiesta soprannominata Totalgate, l’ultimo lascito del pm Henry John Woodcock che a dicembre del 2008, aveva chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari anche per l’allora deputato del Pd. Assieme a lui figuravano indagati diversi imprenditori locali più il vecchio management di Total Italia, tutti accusati di corruzione e turbativa d’asta in relazione alla gara da 26 milioni di euro per le opere civili necessarie alla costruzione del nuovo centro oli di Corleto Perticara, l’infrastruttura fondamentale del programma di estrazioni nella valle del Sauro.

L’esecuzione della misura cautelare nei confronti di Margiotta sarebbe stata negata dalla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera prima ancora che il Tribunale del riesame l’annullasse – in maniera a dir poco clamorosa – per mancanza dei «gravi indizi» di colpevolezza. Ma il pm anglo-napoletano a distanza di qualche mese avrebbe chiesto comunque il rinvio a giudizio per corruzione con l’imputazione di essersi attivato per favorire le mire sull’appalto in questione di Francesco Ferrara, un noto imprenditore di Policoro, in cambio della promessa di 200mila euro.

Di fatto le indagini patrimoniali avrebbero escluso un arricchimento del genere quindi è rimasta la promessa e basta, e a maggio del 2011 il gup di Potenza ha sentenziato per l’assoluzione di Margiotta che intanto aveva optato per il rito abbreviato (per quasi tutti gli altri il rinvio a giudizio è arrivato a maggio del 2012 e il dibattimento è ancora alle fasi iniziali).

Depositato il ricorso in Corte d’appello della Procura a novembre del 2011 perché la questione tornasse in aula c’è stato bisogno di attendere fino ad aprile di quest’anno, con la richiesta della condanna al minimo della pena da parte della procura generale, e la difesa fermissima per la conferma dell’assoluzione.

Ma quando sembrava tutto pronto per i titoli di coda è arrivata la decisione di riaprire il dibattimento da parte della corte composta dal presidente Vincenzo Autera e dai giudici a latere Francesco Verdoliva e Pasquale Materi. Così a giugno in aula sono state risentite le intercettazioni in cui Ferrara parla di «Salvatore» e di quei 200mila euro, su cui in sostanza si gioca tutto il processo.

Molto più complesso e variegato il materiale al centro del processo sull’inchiesta scandalo Arpab-Fenice-Pallareta, in cui sono coinvolte 34 persone assieme all’ex dg e all’ex coordinatore provinciale dell’Agenzia per l’ambiente, Vincenzo Sigillito e Bruno Bove. Per loro l’accusa è di essere stati a capo di una vera e propria associazione a delinquere costituita ai vertici dell’ente di via della Fisica. Per questo a ottobre del 2011 finiti anche ai domiciliari. Poi ci sono Fenice e Tempor spa: la prima che è la società che di fatto gestisce l’impianto al centro del caso di inquinamento ambientale più eclatante degli ultimi anni in Basilicata (stando agli inquirenti la nascita recente di Fenice ambiente srl sarebbe solo un’escamotage per cercare di arginare i possibili contraccolpi giudiziari dell’inchiesta); e la nota agenzia di lavoro interinale.

L’accusa più grave resta il disastro colposo per la contaminazione della falda acquifera sotto il termovalorizzatore Fenice, un evento di portata devastante dalle conseguenze difficili da calcolare, che sarebbe stato occultato dai funzionari dell’Arpab e i manager di Fenice che si sono avvicendati dal 2001 al 2010.

 

l.amato@luedi.it

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