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VIBO VALENTIA – Gli agenti della Squadra mobile di Vibo Valentia hanno dato esecuzione a quattro provvedimenti cautelari (due arresti domiciliari e due obblighi di dimora nei comuni di residenza) emessi dal gip del Tribunale di Vibo Valentia Fabio Regolo su richiesta del pm Alessandro Donato Pesce. L’accusa mossa nei confronti dei quattro è traffico in concorso di sostanza stupefacente del tipo cocaina e cannabis. 

A finire nella rete degli investigatori sono: Pietro Nadile, 39 anni, di Briatico, Raffaele Francolino, 30 anni di Bivona, frazione di Vibo, Giovanni Emmanuele, 26 anni, di Gerocarne e Domenico Tassone, 29 anni di Soriano. I primi due sono stati destinatari della misura della detenzione domiciliare. 
L’inchiesta denominata “Biancaneve” ha permesso di acclarare che i soggetti coinvolti, quando comunicavano al telefono, utilizzavano un ben preciso e variegato linguaggio criptico, che, però, gli investigatori della Squadra Mobile, grazie alla loro competenza e alla loro pazienza, sono riusciti a decifrare, svelando il reale significato delle parole criptate. Si è scoperto che per indicare la sostanza stupefacente venivano usate parole come: “operaio”, “rumeno”, “negro” , “il figliolo della prima volta”, oppure per comunicare che la sostanza non era buona o che non aveva gli stessi effetti allucinogeni di quelle precedenti venivano usate frasi del tipo: il negro non lavora per niente; porta il figliolo della prima volta. 
Giovanni Emmanuele, cugino del noto boss Bruno Emanuele, la notte dell’1 aprile del 2012 era scampato ad un agguato di ‘ndrangheta. Lo scorso anno era stato arrestato con l’accusa di armi. Domenico Tassone, invece, è indicato come il vero bersaglio dell’agguato che, la sera del 25 ottobre del 2012, costò la vita al 19enne Filippo Ceravolo che si trovava con lui a bordo di un’auto prima di essere raggiungo da una scarica di pallettoni.
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