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POTENZA – In 6 mesi, a cavallo tra il 2013 e il 2014, avrebbero trattato in barba alle leggi «circa 2.300 tonnellate di rifiuti ferrosi». Perlopiù auto demolite. Cedendone gran parte al forno della ex Siderpotenza come materia riciclata. Senza badare nemmeno ai sedili finiti nel trituratore.
Sono agli arresti domiciliari Antonio (79) e Maurizio Pepe (45), padre e figlio, titolari dell’omonima ditta di autodemolizione di Potenza. Più noti col soprannome di “Bancanterra”.
A disporre la misura cautelare nei loro confronti è stato il gip del capoluogo, che ha disposto anche l’obbligo di firma per 5 dipendenti: Michele Romano (38); Giovambattista Calace (43); Sergio Ligrani (37); Mario Di Tolla (28) e Vito Ramunno (48). Oltre al sequestro dell’intero «compendio aziendale» della ditta. Inclusi «6 mezzi meccanici utilizzati per l’attività di recupero di rifiuti metallici».
Secondo gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, competente per i reati ambientali più gravi, avrebbero messo in piedi un vero e proprio traffico – illecito – di rifiuti. Falsificando bolle e certificati in entrata e in uscita. Per nascondere quanto avveniva realmente nello stabilimento. E continuare a fare affari con alcuni personaggi, di nazionalità rumena, che avrebbero conferito «metalli ad alto valore aggiunto» di dubbia provenienza. Per usare un eufemismo. Rame in particolare. Ricavato dai cavi dell’Enel rubati qua e là. E da quelli delle Ferrovie.
E’ stato proprio seguendo questa “banda” che gli investigatori del Corpo forestale dello Stato sono arrivati in via della Tecnica, dove ha sede l’autodemolizione dei Pepe. Ma le accuse nei loro confronti sono finite in un altro fascicolo, su cui i pm guidati dal procuratore Luigi Gay sono ancora al lavoro.
Imprenditori e dipendenti sono accusati anche per la «predisposizione reiterata e continuata di falsi formulari di identificazione dei rifiuti e falsi documenti di trasporto».
«L’attività posta in essere dagli indagati – spiega il comunicato diffuso ieri mattina in Procura – è stata accertata nel periodo compreso tra ottobre e marzo 2014». Per un giro di migliaia di tonnellate completamente in nero, che ha già portato a sanzioni amministrative per oltre 1 milione di euro.
Quindi «commercio di rifiuti costituiti da materiale ferroso e da altro materiale pregiato». Come rame, ottone e alluminio. Ma anche «la vendita di pezzi di ricambio provenienti dalla demolizione delle autovetture».
«Nel corso delle indagini si accertava che i pezzi di ricambio venivano accantonati anche fuori dal sito aziendale per essere commercializzati in nero, benche risultasse agli atti il loro trattamento e la loro vendita come materiale bonificato».
Ma in che modo veniva giustificata la differenza di peso?
Perché se un auto, tolte tutte le componenti non metalliche, pesa 100, ma viene cannibalizzata per la metà, in uscita diventa molto più leggera.
Ecco allora che «l’ingresso nello stabilimento di rifiuti senza alcuna tracciabilità» diventava utile due volte. E all’occasione nel trituratore sarebbero finite anche parti che andavano separate e smaltite diversamente. Come i sedili delle auto.
In una delle “balle” analizzate dai finanzieri sarebbero stati visibili anche a occhio nudo.
Col rischio che una volta portate nell’impianto delle Ferriere sud la loro combustione diffondesse veleni nell’aria. In particolare diossina. Proprio come accertato durante le indagini che la scorsa estate hanno portato al sequestro parziale dell’impianto siderurgico.
«Quanto ai rifiuti ferrosi – spiegano dalla Procura – essi venivano commercializzati con la totale elusione delle norme in materia, attraverso la falsa attestazione del rispetto delle procedure previste per il conferimento e la trasformazione di un rifiuto e rottame ferroso e quindi merce».
Idem per il prelievo del rame all’interno dei cavi elettrici “scippati” alla rete Enel, che proprio in quanto rubati venivano lavorati senza andare troppo per il sottile.
Gli investigatori stimano in «circa 3mila i conferimenti abusivi accertati» nei sei mesi presi in esame, grazie anche alle intercettazioni telefoniche e ai filmati delle telecamere nascoste piazzate nello stabilimento. Inoltre aggiungono che «delle circa 500 vetture da rottamare e trovate nell’azienda solo 29 sono risultate regolarmente trattate». E una volta entrati hanno scoperto 276 targhe «appartenenti ad altrettanti veicoli di cui non risulta traccia ma che risulterebbero circolanti anche se solo formalmente».

l.amato@luedi.it

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