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COSENZA – Ergastolo annullato. La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro (presidente Garcea, a latere Bravin) ha annullato, con rinvio al giudizio di primo grado, la pena che era stata  inflitta (e confermata in tutti e tre i gradi di giudizio) a Mario Baratta, presunto e temuto killer del clan Perna di Cosenza. 

I giudici hanno accolto la richiesta degli avvocati Paolo Pisani, Giuseppe Cutrì, Giuseppe Belcasro e Giuseppe Commiso, i quali hanno fatto valere la tesi che  Baratta nel corso del processo di primo grado è stato erroneamente ritenuto contumace e latitante. Non accolta, invece, la richiesta del procuratore generale Raffaella Sforza, che aveva insistito per la conferma dell’ergastolo, più otto mesi di isolamento diurno,

Baratta fu condannato in primo grado dalla Corte di Assise di Cosenza (era il 9 giugno del 1997, ben quindici anni fa)  per l’omicidio del cosentino Mariano Muglia, ucciso il 28 gennaio del 1983.  Il processo di riferimento è il “Garden”, l’inchiesta madre sulla criminalità organizzata bruzia. L’ergastolo fu confermato sia in Appello che in Cassazione. 

Al processo di secondo grado – che ha rimesso tutto in gioco –  si è giunti su decisione della Corte di Cassazione che, accogliendo il ricorso della difesa, nei mesi scorsi aveva rimesso in termini Baratta per impugnare la sentenza di Cosenza. Nel corso del processo di primo grado fu infatti dichiarato contumace e latitante. La difesa ha fatto notare che verso la fine del procedimento di primo grado fu arrestato in Brasile su ordine di cattura internazionale. Lo fece notare in aula l’avvocato del tempo, ossia Sergio Calabrese, il quale disse ai giudici che la notizia era stata scritta anche dai giornali. La Corte di Assise non ritenne però attendibile la fonte di conoscenza e procedette con l’emissione della sentenza, senza di fatto dare il tempo a Baratta di ritornare in Italia e di difendersi in aula. 

I Supremi giudici, rifacendosi – su “suggerimento della difesa” – alla Corte europea, annullarono con rinvio la sentenza di condanna (che nel frattempo era diventata definitiva), dando così a Baratta la possibilità di ricorrere personalmente in Appello. 

Gli stessi giudici romani disposero poi la scarcerazione, che non fu immediatamente eseguita in quanto la Corte di Assise di Cosenza, appena venuta a sapere della decisione della Cassazione, emise, ritenendo ancora in vigore l’originaria ordinanza di custodia cautelare di “Garden”, una nuova ordinanza. Da qui il ricorso al Tribunale della Libertà, che anche in questo caso ha dato ragione ai legali di Baratta. Quest’ultimo, al quale è stato imposto l’obbligo della dimora a Roma, ha potuto  così lasciare il carcere di Viterbo e prepararsi da uomo relativamente libero per l’Appello.  

Ieri la decisione dei giudici catanzaresi, che hanno sposato la tesi difensiva. Le motivazioni saranno depositate entro quaranta giorni. Poi il processo al presunto killer del clan Perna dovrà ripartirà daccapo e quindici anni dopo l’emissione della sentenza di primo grado.

 

 

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