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I dati del rapporto Osmed dell’Aifa svelano un eccessivo uso soprattutto nelle regioni del Sud

NONOSTANTE le campagne e gli allarmi ormai continui sul fenomeno della resistenza, in Italia il consumo di antibiotici resta molto alto, con percentuali di inappropriatezza che superano il 30%. Ma il fenomeno dei farmaci dati quando non è necessario, insieme a quello opposto di pazienti che ricevono terapie che non seguono, riguarda diverse categorie, ha testimoniato il rapporto Osmed dell’Aifa.

In questo contesto, la Campania ha riportato il maggior consumo (32,5 Dosi (DDD)/1000 abitanti al giorno), seguita dalla Puglia (29,8 Dosi/1000 ab. die), dalla Calabria (28,0 DDD/1000 ab. die). 

Nel 2015 sono state consumate 22,8 dosi giornaliere ogni mille abitanti di antibiotici, con una riduzione, rispetto al 2014, del 2,7%. I consumi sono caratterizzati da un gradiente Nord-Sud. La Provincia autonoma di Bolzano ha invece registrato il consumo più basso (14,4 DDD/1000 ab. die), seguita dalla Liguria (16,0 DDD/1000 ab. die), dal Friuli Venezia Giulia (17,4 DDD/1000 ab. die) e dal Veneto (17,9 DDD/1000 ab. die).

«L’impiego inappropriato di antibiotici supera il 30% in tutte le condizioni cliniche studiate, un dato che appare in costante calo rispetto agli anni precedenti – scrive l’Aifa -. In particolare, nel 2015 il 37,1% dei soggetti con diagnosi di affezioni virali delle prime vie respiratorie (influenza, raffreddore, laringotracheite acuta) ha ricevuto una prescrizione di antibiotico».

L’indagine sull’appropriatezza del rapporto oltre agli antibiotici ha investigato su 11 altre categorie terapeutiche. Tra le altre situazioni segnalate c’è quella dei farmaci antidiabetici, con un quarto dei pazienti che ricevono i nuovi inibitori che non soddisfa i criteri per averli, mentre al contrario il 64,4% di chi dovrebbe riceverli a cui invece non vengono prescritti.

Altro “tasto dolente” è quello relativo agli inibitori di pompa protonica, utilizzati per il trattamento dell’ulcera e dell’esofagite, la cui prescrizione è risultata inappropriata nel 50,4% dei casi nel 2015, con un aumento del 4,3% rispetto all’anno precedente.

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