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REGGIO CALABRIA –  «Conosco diversi soggetti appartenenti alla famiglia Bellocco, in particolare Mimmo (Domenico Oliveri classe ‘79), Umberto (Umberto Bellocco, classe ‘83) e Micu u longu (Domencio Bellocco 1977)». Ci sono anche le dichiarazioni del pentito Antonino Belnome tra le carte del processo “Blue Call – Tramonto” che è in udienza preliminare davanti al Gup di Reggio Calabria, Rodolfo Palermo. Un verbale nel quale non solo descrive i rapporti tra la “famiglia” del killer lombardo e quella di Rosarno, ma anche le dinamiche che ruotano attorno al business della cocaina in transito dal porto di Gioia Tauro. Parole che inchiodano alcuni dei protagonisti dell’inchiesta e che, allo stesso tempo, offrono uno spaccato importante su quello che succede, o almeno succedeva, sui moli della Piana.
«Ci siamo spesso scambiato favori – ha spiegato al pm Giovanni Musarò che lo ha sentito il 12 novembre scorso – Ad esempio in un’occasione io e il mio gruppo siamo andati a fare una spedizione punitiva nei confronti di un imprenditore su richiesta dei Bellocco, che non si volevano esporre». Un pestaggio ai danni di un imprenditore del bresciano che si era rifiutato di “favorire” i Bellocco. 
E ancora: «In un’altra occasione abbiamo ospitato “Micu u longu”, quando era latitante a Misito, in un appartamento che avevo a Lentate sul Seveso. Poi Micu preferì spostarsi in quanto in quell’appartamento avevamo anche armi e lui non si sentiva sicuro».
Da qui per ricordare alcuni affari che passavano dal Porto. Affari di droga soprattutto.
«Io ero ad un alto livello della ‘ndrangheta – ha detto ancora – e a quel livello si sapeva che il Porto di Gioia Tauro era appannaggio delle famiglie Mancuso, Pesce e Bellocco e che per importare cocaina era necessario rivolgersi a loro. Tale circostanza mi è stata confermata da Mimmo (Oliveri, ndr), il cugino di Bellocco che non porta il cognome Bellocco (la madre è una Bellocco, ndr). Mi sono  recato più volte in Calabria per parlare di diverse questioni con i Bellocco, anche dell’importazione di stupefacente. A tali incontri partecipava anche Micu u longu, Umberto e un certo Ciccio, un ragazzo che era sempre con loro, che portava le “ambasciate”. Un altro soggetto che portava le ambasciate era un certo Giuliano Rito». 
Nel luglio del 2010, «pochi giorni prima del mio arresto – ricorda ancora l’ex killer – arrivò un carico di 400 chili di cocaina a Gioia Tauro. Quando arriva un ingente quantitativo vengono contattate le famiglie più importanti per una eventuale ripartizione e fummo contattati anche noi». A gestire i traffici tre famiglie in particolare: «I Pesce, i Bellocco e i Mancuso hanno il controllo del traffico di cocaina che arriva a Gioia Tauro, anche perchè queste famiglie hanno fonti di approvvigionamento dirette. Quando parlai con Mimmo (quello che non fa Bellocco di cognome) – ha svelato ancora Belnome – per acquistare un grosso carico di cocaina lui mi disse che in ogni caso il 30% doveva restare a loro, in sostanza stupefacente o soldi. Il 30% restava ai Bellocco perchè poi si sarebbero occupati della “questione Porto”, cioè di pagare i finanzieri corrotti. Ovviamente Mimmo parlava quale esponente dei Bellocco e non ad altro titolo. Se io avessi conosciuto esponenti dei Pesce o dei Mancuso sarebbe stata la stessa cosa. Ma conoscevo i Bellocco».
Belnome non ha dubbi sull’appartenenza mafiosa dei suoi interlocutori: «In passato Umberto è venuto ad una mangiata in un ristorante sulla strada per Erba. Nella circostanza venne assieme a un suo compare, mi disse che questo soggetto stava in Svizzera e che per qualsiasi cosa era a disposizione». E infine: «A tale mangiata organizzata dai Cristello, parteciparono soggetti affiliati, anche se poi non seguì una vera e propria riunione di ‘ndrangheta. Tengo a precisare che questi soggetti (Micu u lungu, Mimmo e Umberto) erano soggetti formalmente affiliati alla ‘ndrangheta, se alla mangiata fosse seguita una riunione Umberto avrebbe avuto titolo di parteciparci».

REGGIO CALABRIA –  «Conosco diversi soggetti appartenenti alla famiglia Bellocco, in particolare Mimmo (Domenico Oliveri classe ‘79), Umberto (Umberto Bellocco, classe ‘83) e Micu u longu (Domencio Bellocco 1977)». Ci sono anche le dichiarazioni del pentito Antonino Belnome tra le carte del processo “Blue Call – Tramonto” per il quale il Gup di Reggio Calabria, Rodolfo Palermo, ha deciso oggi 12 rinvii a giudizio. Si tratta delle persone che hanno scelto il rito ordinario e che si sommano alle 32 per le quali invece si procederà con il processo abbreviato.

Il verbale di Belnome non solo descrive i rapporti tra la “famiglia” del killer lombardo e quella di Rosarno, ma anche le dinamiche che ruotano attorno al business della cocaina in transito dal porto di Gioia Tauro. Parole che inchiodano alcuni dei protagonisti dell’inchiesta e che, allo stesso tempo, offrono uno spaccato importante su quello che succede, o almeno succedeva, sui moli della Piana.«Ci siamo spesso scambiato favori – ha spiegato al pm Giovanni Musarò che lo ha sentito il 12 novembre scorso – Ad esempio in un’occasione io e il mio gruppo siamo andati a fare una spedizione punitiva nei confronti di un imprenditore su richiesta dei Bellocco, che non si volevano esporre». Un pestaggio ai danni di un imprenditore del bresciano che si era rifiutato di “favorire” i Bellocco. E ancora: «In un’altra occasione abbiamo ospitato “Micu u longu”, quando era latitante a Misito, in un appartamento che avevo a Lentate sul Seveso. Poi Micu preferì spostarsi in quanto in quell’appartamento avevamo anche armi e lui non si sentiva sicuro».

Da qui per ricordare alcuni affari che passavano dal Porto. Affari di droga soprattutto.«Io ero ad un alto livello della ‘ndrangheta – ha detto ancora – e a quel livello si sapeva che il Porto di Gioia Tauro era appannaggio delle famiglie Mancuso, Pesce e Bellocco e che per importare cocaina era necessario rivolgersi a loro. Tale circostanza mi è stata confermata da Mimmo (Oliveri, ndr), il cugino di Bellocco che non porta il cognome Bellocco (la madre è una Bellocco, ndr). Mi sono  recato più volte in Calabria per parlare di diverse questioni con i Bellocco, anche dell’importazione di stupefacente. A tali incontri partecipava anche Micu u longu, Umberto e un certo Ciccio, un ragazzo che era sempre con loro, che portava le “ambasciate”. Un altro soggetto che portava le ambasciate era un certo Giuliano Rito». Nel luglio del 2010, «pochi giorni prima del mio arresto – ricorda ancora l’ex killer – arrivò un carico di 400 chili di cocaina a Gioia Tauro. Quando arriva un ingente quantitativo vengono contattate le famiglie più importanti per una eventuale ripartizione e fummo contattati anche noi». A gestire i traffici tre famiglie in particolare: «I Pesce, i Bellocco e i Mancuso hanno il controllo del traffico di cocaina che arriva a Gioia Tauro, anche perchè queste famiglie hanno fonti di approvvigionamento dirette. Quando parlai con Mimmo (quello che non fa Bellocco di cognome) – ha svelato ancora Belnome – per acquistare un grosso carico di cocaina lui mi disse che in ogni caso il 30% doveva restare a loro, in sostanza stupefacente o soldi. Il 30% restava ai Bellocco perchè poi si sarebbero occupati della “questione Porto”, cioè di pagare i finanzieri corrotti. Ovviamente Mimmo parlava quale esponente dei Bellocco e non ad altro titolo. Se io avessi conosciuto esponenti dei Pesce o dei Mancuso sarebbe stata la stessa cosa. Ma conoscevo i Bellocco».

Belnome non ha dubbi sull’appartenenza mafiosa dei suoi interlocutori: «In passato Umberto è venuto ad una mangiata in un ristorante sulla strada per Erba. Nella circostanza venne assieme a un suo compare, mi disse che questo soggetto stava in Svizzera e che per qualsiasi cosa era a disposizione». E infine: «A tale mangiata organizzata dai Cristello, parteciparono soggetti affiliati, anche se poi non seguì una vera e propria riunione di ‘ndrangheta. Tengo a precisare che questi soggetti (Micu u lungu, Mimmo e Umberto) erano soggetti formalmente affiliati alla ‘ndrangheta, se alla mangiata fosse seguita una riunione Umberto avrebbe avuto titolo di parteciparci».

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