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CROTONE – Si è concluso con una condanna a 20 anni di reclusione il nuovo giudizio d’appello nei confronti di Giovanni Abramo, il giovane di Cutro (Kr) imputato per l’omicidio del boss Antonio Dragone, avvenuto nell’ambito della violenta faida per la supremazia sul territorio crotonese. La Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha emesso oggi la  sentenza con la quale ha accolto quasi del tutto la richiesta del sostituto procuratore generale Domenico Prestinenzi, che aveva sollecitato per l’imputato una condanna a 27 anni di reclusione. Opposta la richiesta dei difensori, gli avvocati Salvatore Staiano e Gregorio Viscomi, che ora attenderanno le motivazioni della sentenza – per depositare le quali la Corte ha chiesto 70 giorni di tempo -, e poi presenteranno nuovamente ricorso in Cassazione. Il processo è infatti già finito una prima volta all’attenzione del Giudice Supremo, che ha annullato una precedente pronuncia della Corte d’assise d’appello di Catanzaro.

Abramo è stato l’unico dei quattro giovani imputati per i due omicidi di Dragone e di Salvatore Blasco ad essere stato completamente assolto dalla Corte d’assise d’appello, il 2 dicembre del 2009, dopo essere stato invece condannato in primo grado a 28 anni di reclusione. Quello stesso 2 dicembre la Corte ridusse a 21 anni di reclusione ciascuno le condanne del 22enne Antonio Dragone e di Giuseppe Ciampà, che avevano avuto 23 anni e 6 mesi a testa; e scontò a 21 anni anche la pena di Giovanni Oliverio, che aveva avuto 21 anni e 6 mesi. Tempo dopo la Corte di Cassazione ha confermato queste ultime tre condanne, ed ha annullato la sentenza d’appello solo relativamente all’assoluzione di Abramo, rinviando gli atti a Catanzaro per un nuovo giudizio di secondo grado. La sentenza di primo grado risale al 31 luglio del 2008, quando i giudici accolsero quasi completamente le richieste del pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Sandro Dolce, infliggendo un totale di 96 anni e mezzo di carcere. Così, dopo un processo durato circa un anno e mezzo, si era chiuso il primo capitolo della vicenda giudiziaria scaturita dai due delitti avvenuti nell’ambito della guerra di ‘ndrangheta fra i «Dragone Arena» e i «Grande Aracri-Nicoscia» nel territorio di Isola Capo Rizzato e Cutro.

L’assassinio del 44enne Salvatore Blasco – considerato uomo di punta del gruppo facente capo a Nicolino Grande Aracri -, ammazzato a Cutro il 22 marzo del 2004, raggiunto da numerosi colpi di fucile calibro 12 davanti alla porta della propria abitazione. E poi l’omicidio del 61enne Antonio Dragone, ritenuto il boss storico dell’omonima cosca, ucciso a colpi di Kalashnikov e pistola calibro 38 in un agguato portato a termine, sulla strada che da Cutro conduce a bivio Lenza, anche con un bazooka – alla vista del quale l’uomo, che viaggiava assieme a Giovanni Spadafora e Antonio Ciampà, abbandonò la Lancia K blindata, che resisteva ai colpi dei micidiali mitragliatori da guerra -, e che per gli inquirenti sarebbe stato proprio la risposta al primo delitto. Due massacri che sparsero sangue e terrore nel Crotonese, di cui furono chiamati a rispondere, insieme alle contestazioni relative alle armi utilizzate, Abramo, 32 anni, di Crotone; Dragone, 22 anni, e Ciampà, 26, entrambi di Cutro; Oliverio, 25, di Cutro, dopo investigazioni molto complesse, che permisero di individuare i presunti componenti di rilievo dei sodalizi criminali sgominati nell’ambito dell’operazione «Grande Drago», portata a termine dalla Polizia di Stato nell’ottobre del 2005 fra Reggio Emilia e il Crotonese.

 

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