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TRE centri di accoglienza, un regolamento interno, il bollino etico, un servizio trasporto e uno sanitario. La task force, istituita dalla Regione Basilicata per trovare una soluzione al tema dell’accoglienza dei migranti dell’Alto Bradano occupati nella campagna del pomodoro, continua la sua opera di “raccordo” tra le varie parti, chiamate a evitare quanto successo negli anni passati con diverse centinaia di stagionali costretti a vivere in condizioni di vita davvero precarie.

Le aree individuate sono quella dell’ex tabacchificio a Palazzo San Gervasio, l’albergo “San Barbato” di Lavello e l’ex liceo classico a Venosa. Tre zone che garantiranno (almeno è quanto sperano i promotori dell’iniziativa) non solo una degna accoglienza, ma soprattutto potranno dare una spallata al fenomeno del caporalato. Le strutture possono essere utilizzate dai lavoratori di entrambi i sessi che siano o saranno impegnati nella campagna del pomodoro. Ogni stagionale dovrà essere munito di regolare permesso di soggiorno e devono aver provveduto ad effettuare la prenotazione presso i centri per l’impiego o direttamente al campo. «La finalità dell’accoglienza – è spiegato nel regolamento – è la tutela dei lavoratori migranti in arrrivo per la stagione di raccolta dei prodotti ortofrutticoli ed il rispetto della loro digbnità attraverso l’offerta di una idonea sistemazione a fronte delle diffuse irregolarità registratesi nel corso degli anni». I comuni della zona (Palazzo San Gervasio, Venosa, Lavello e Montemilone) sono i titolari della “funzione” dell’accoglienza e della gestione delle strutture sotto la diretta sorveglianza della Protezione civile, la Croce Rossa, le parti sociali e le associazioni del volontariato e del terzo settore. Entro una decina di giorni al massimo, saranno costituiti comitati di gestione con l’individuazione dei ruoli che ogni attore dovrà ricoprire perchè il tutto vada per verso giusto. Durante la riunione non sono mancati momenti di confronto. Una cosa infatti è scrivere nero su bianco le regole, un’altra è poi concretizzarle sul campo e farle rispettare. Sono state esposte diverse perplessità. Dai permessi di soggiorno, agli accessi, al tesserino di identificazione, alla durata di permanenza fino a quella rappresentata dal vitto. Molte etnie, infatti, preferiscono fare in proprio piuttosto che accettare cibi cotti dagli altri. Un problema che le associazioni attive sul territorio dovranno risolvere prima dell’apertura dei centri. Gli ospiti dei campi inoltre dovranno “responsabilizzarsi”. E’ previsto infatti il pagamento simbolico di una somma di denaro divisa tra il lavoratore e il datore di lavoro, chiamato anch’egli a dare il proprio contributo. Per quest’ultimo, oltre a rimanere nell’ambito della legalità è previsto il cosiddetto “bollino etico” una sorta di certificazione a cura del Dipartimento Agricoltura, rilasciata alle aziende della filiera agricola che dimostreranno di non aver fatto ricorso al lavoro nero e di aver partecipato alle iniziative della Regione per assicurare il rispetto della legalità e della qualità del prodotto.

Allo stato attuale la zona dove già da un mese si stanzia un nucleo di migranti è rappresentato da  Boreano. Secondo alcune stime per difetto, sarebbero già un centinaio i migranti che occupano i casolari abbandonati dell’ex ente riforma privi di acqua, luce e gas. Di loro se ne stanno “occupando” le associazioni di volontariato (parrocchie e Caritas su tutti), le quali portano in loco beni di prima necessità quali acqua, pasta, farina, olio. Boreano sarà la prima zona di intervento. Adesso toccherà alle associazioni convincere i migranti a scegliere i centri di accoglienza e non i tuguri in cui sono costretti a vivere.

g.rosa@luedi.it

 

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