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POTENZA – Rocco diceva che a trent’anni lui non ci sarebbe arrivato. Me lo ripete più volte sua madre. Aveva come un presentimento. E lo diceva spesso, ma ridendo. Come spesso facciamo tutti, cercando però di allontanare la morte. E’ il nostro modo per fuggire le paure. Ironia e una risata. Solo che Rocco a trent’anni davvero non ci è arrivato. Ha scelto, esattamente un anno fa, che il suo mondo e la sua vita erano un peso troppo pesante da portare. Aveva 25 anni e, apparentemente, aveva tutto quello che un ragazzo della sua età vorrebbe. Una famiglia che l’amava, due fratelli su cui contare, una fidanzata, un lavoro e tanti amici. Così tanti che la chiesa, il giorno del suo funerale, non è riuscita a contenerli tutti, in tanti sono rimasti fuori dalla porta, in lacrime, per portare l’ultimo saluto a quel ragazzo di 25 anni che, in un freddo sabato di gennaio deve aver pensato di essere solo. E così se n’è andato, senza un saluto, una parola, una lettera. Lasciando tutti senza fiato.
Rocco, invece, non era solo. E se solo si fosse fermato un attimo a pensarci, se ne sarebbe reso conto. Ma in quel momento non deve aver pensato a chi gli sarebbe sopravvissuto. Non deve aver pensato a sua madre, che gli aveva preparato il caffè, come tutte le mattine, senza immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedeva il figlio vivo. Né a suo padre, cui è toccato lo straziante compito di andare a raccogliere il suo corpo. Non ha pensato ai suoi nonni, che si sono piano piano piegati fisicamente per poter reggere quell’enorme intollerabile dolore.
Un anniversario serve a ricordare. Ricordare che i sopravvissuti hanno dovuto vivere il primo compleanno in sua assenza. La prima Pasqua senza Rocco, il primo Natale. E in quest’anno sono successe tante cose, se Rocco fosse ancora qui potrebbe prendere in braccio anche la sua prima nipotina.
La vita deve andare avanti per quelli che restano. Anche se ogni giorno costa fatica. Ogni mattina si deve trovare la forza per rialzarsi e andare avanti. Perché continuare a vivere senza quel figlio, senza quel fratello, quel nipote e quell’amico non è semplice. Rocchino, come in tanti lo chiamavano, era un pezzo importante nella vita di tante persone. Anche se lui, evidentemente, non deve averlo creduto.
E tutti dovremo continuare a vivere con il rimorso di non averglielo saputo dire quando serviva. Perché, sempre di corsa come siamo, finiamo per dare per scontato che il nostro affetto venga sentito. E rinviamo una carezza, una parola, un caffè e una risata.
Un anniversario serve a ricordare anche tutti gli altri. I tanti, tanti ragazzi che in questi anni hanno deciso di salutare tutti in questa maniera feroce.
Una strage silenziosa e che spesso uccide anche i sopravvissuti a quell’atto. Perché per due genitori è uno strazio dover assistere al funerale del figlio, ma quando è il figlio a scegliere il giorno della sua morte, ogni giorno successivo diventa una pugnalata nel cuore. Diventa un incubo senza fine.
Oggi, nella chiesa di San Giovanni Bosco alle 18.30, una messa verrà celebrata per ricordare Rocco a un anno dalla sua morte. Quelli che gli hanno voluto bene ritroveranno il suo sorriso semplice in una foto, ricorderanno la sua allegria quando giocava a calcio, quando si mascherava per il Carnevale. Ricorderanno i momenti belli che Rocco ha regalato e tutto l’affetto che ha sparso in giro nei suoi 25 anni di vita. Tutto questo resta e nessuna morte potrà portarlo via.

a.giacummo@luedi.it

 

 

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