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UN aspetto critico dei sistemi educativi è il loro essere potenziali sistemi uniformanti, agenti di un processo di appiattimento che deriva da un tentativo di socializzazione.

È senz’altro vero. Ma se l’educazione ha di certo esteso la cultura ad un larghissimo pubblico, oggi le persone sono interessate a qualsiasi informazione si adatti alle loro esigenze in una situazione specifica. In altre parole, mi importa poco avere grandi quantità di informazioni su un certo argomento se non riesco a risolvere un problema specifico da affrontare. E questo non solo nella vita professionale, ma in qualsiasi area. Ad esempio, se il mio paese è stato governato da un dittatore e credo sia giunto il momento di una rivoluzione, devo essere in grado di agire per realizzare il cambiamento sociale. Se i bambini nel mio paese muoiono di fame, devo poter contribuire alla soluzione del problema. Nessuna di queste domande viene sollecitata nelle nostre scuole. Per non parlare delle risposte – infinitamente più importanti di qualsiasi contenuto scolastico – che potrebbero apprendere nel nostro sistema educativo, per molti aspetti ormai desueto e progettato per un mondo che non c’è più.

Le società esigono sempre più dalla scuola una trasmissione di saperi pragmatici, utilitaristici, rivolti al mondo del lavoro. Fino a che punto, oggi, gli educatori sono centrali nella sfida alla conoscenza?

Non metterei sullo stesso piano il pragmatismo e la consapevolezza che si applica solo ad una professione. Negli esempi precedenti ho illustrato questa differenza. Pragmatismo significa realizzare un progetto che porterà a qualcosa di pratico: un lavoro miglio, uno stipendio più alto, una carriera. Ma potrebbe anche avere un valore sociale o umanitario. Il pragmatismo è necessario, penso, per contribuire a cambiare il mondo. Certo, si può vivere nel mondo delle idee pure, nell’olimpica indifferenza per le cose prossime. Direi di più. A volte abbiamo bisogno di persone slegate dalle necessità quotidiane che possano espandere i nostri orizzonti oltre i limiti del conosciuto. Detto questo, una società in cui troppe persone non hanno preoccupazioni pratiche, è una società votata all’autoestinzione. Non credo, ad esempio, che con l’alto tasso di disoccupazione che sta devastando le nuove generazioni in Italia, l’Università possa occuparsi solo di questioni non-pragmatiche. La realtà è che le speranze di una intera generazione, e le aspettative di cambiare la propria vita stanno sfumando. In una tale situazione, una Università che si occupi solo di questioni non-pragmatiche sarebbe irresponsabile.

Gli educatori del mondo intero sono perplessi dinanzi all’effetto seduttivo delle tecnologie sui giovani. Nella sua opinione cosa li seduce tanto?

L’istruzione è sempre stata circondata dalla tecnologia. Scrivere con carta e matita è usare tecnologie. Il problema non sono le tecnologie, ma l’asincronia tra i metodi didattici tradizionali e la tecnologia a cui le nuove generazione hanno accesso. Se mi chiede chi vincerà, le dico che non c’è dubbio che vinceranno le nuove tecnologie: sono più ricche, più interessanti, aperte ad una quantità e qualità di informazioni senza precedenti. Le critiche da parte degli educatori derivano, credo, dall’uso improprio di queste tecnologie, che vedono gli studenti trascorrere il proprio tempo alle prese con social network, videogiochi ecc. Ma direi che la mancanza di interesse dei ragazzi per le questioni rilevanti, come la situazione economica e sociale del proprio paese, è responsabilità degli educatori e dei genitori stessi. Ogni secondo impiegato dagli educatori in questa critica dovrebbe essere speso per capire perché gli studenti non vi prestano attenzione ed elaborare, dunque, una strategia per cambiare la situazione. Ora, tornando alla sua domanda su ciò che rende le tecnologie così seducenti, direi che è la loro capacità di essere sempre connessi. Siamo esseri sociali, e la nostra più grande attrazione è essere in contatto e interagire con gli altri. Il punto, ancora una volta, è che gli educatori dovrebbero cercare di capire come questa connettività potrebbe essere utilizzata per qualcosa che vada oltre il post di una immagine del gatto di un amico pubblicata sul profilo Facebook.

Ci parla delle sue ricerche attuali?

La mia ricerca attuale si concentra su come l’apprendimento permanente  personalizzato possa essere guidato da dati quantitativi. Le ricerche che stiamo conducendo con il gruppo del Prof. Mauro Maldonato vanno anche in questa direzione. In discontinuità con questo approccio tradizionale, tentiamo di utilizzare i dati raccolti da singoli studenti per creare percorsi di apprendimento personalizzati. Ad esempio, come faranno gli operatori sanitari alle prese con le esigenze specifiche della loro pratica clinica quotidiana a migliorare il proprio livello di conoscenze attuali? Inoltre ci stiamo concentrando sulla formazione dei ricercatori in modo che possano pubblicare più facilmente i loro risultati su riviste ad alto impatto, e sulla formazione dei professionisti che richiedono abilità interpersonali.

 

 

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