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MATERA – Il confine tra l’amore e la morte a volte è molto sottile. E proprio la parola amore sarà il filo conduttore del racconto di questa che è una scelta di vita, legata al mondo lavorativo. Una scelta di vita che si può considerare coraggiosa visto che il lavoro è quello di un’agenzia di onoranze funebri e che la persona in questione è una giovane donna di 26 anni. Stiamo parlando di Valentina Giasi che con il fratello Vito ha preso in mano quella che è l’attività di famiglia, lavorando con il padre Saverio. Ma per arrivare a raccontare questa scelta, partiamo un po’ da più lontano, con quello che è stato l’approccio nei confronti di una professione spesso vista con “l’occhio storto”.

L’ambiente famigliare ti ha segnato da piccola, ma allo stesso tempo instradato su quella che oggi è la tua scelta di vita. Giusto?
«Sicuramente quando ero piccola per me era una cosa negativa in quanto vivevamo in una città la cui mentalità era, purtroppo, molto chiusa. Io sono sempre stata “la figlia di…”, motivo per il quale anche a scuola c’era sempre una battutina. Mi ricordo alle elementari ne soffrivo molto e molte volte tornavo a casa piangendo. Però ho sempre avuto l’appoggio di mio padre che mi consolava e mi dava la risposta giusta per ogni occasione. Alle medie addirittura c’erano i soliti bulletti che mi accerchiavano e mi facevano le corna, poi arrivava mio padre ed entravo in macchina. Lì per lì non rispondevo, facevo la dura, poi magari con mio padre scoppiavo a piangere. E lui mi ha sempre rincuorato e mi diceva “vedrai che col tempo…”. Forse è stata proprio la forza di mio padre che poi mi ha portato a voler continuare questa attività».

Se devi associare il lavoro di tuo padre ad un ricordo da piccola, quale sarebbe?
«Molte volte io giocavo lì in agenzia, per me era come essere a casa, quindi non avevo paura. Ma c’è un particolare momento. Solitamente la domenica uscivo con mio padre, una volta fu chiamato e andai con lui al Brancaccio (casa di riposo della Città dei Sassi, ndr) e vidi la salma di una signora. Non la dimenticherò mai. Forse è stato anche un piccolo trauma, ma da lì è partito qualcosa».

Come cambia l’approccio quando invece che avere a che fare con quello che è un cliente, ci si trova a dover affrontare il decesso di un parente o comunque di una persona cara?
«Cambia. Sicuramente cambia. Anche se poi la sensibilità con cui affrontare il momento è la stessa, perchè si a che fare con una persona che ha perduto l’affetto di un parente prossimo e a volte ti immedesimi».

Come arriva la decisione di fare questo lavoro?
«In realtà non c’è stata una decisione pensata e ripensata. Probabilmente era una propensione innata. Ho sempre voluto lavorare con mio padre: gli chiedevo di usare il computer e occuparmi della parte burocratica. Ho iniziato così. Ma non è arrivata subito la decisione, ho fatto altre esperienze, ho avuto atri lavori, ho avuto un negozio e poi nel momento in cui c’è stata la divisione delle famiglie c’è stata la possibilità di poter lavorare con mio padre e non mi sono lasciata sfuggire l’opportunità, anche perchè così ho potuto esprimere il mio senso di gratitudine nei suoi confronti».

Per arrivare a fare un funerale da sola, da dove sei partita?
«Ho iniziato guardando, apprendendo. Inizialmente mi sono occupata della parte burocratica, ma c’è voglia di crescere e di portare avanti il lavoro che fa mio padre, assieme a mio fratello. Non essendo un uomo mi manca quella forza fisica necessaria per avere determinate mansioni».

Qual è il momento più difficile all’interno del percorso di un funerale?
«Il momento più difficile, ed è una cosa che io ancora non ho mai fatto, ma la farò, è la vestizione. Penso che sia il momento più difficoltoso e penso che sia la fase in cui c’è bisogno del massimo rispetto e la massima sensibilità nei confronti dei parenti e della persona deceduta».

E il tuo primo funerale? Cosa hai pensato in quella giornata? C’è stato distacco?
«Un po’ di distacco bisogna metterlo altrimenti non ne esci più da quel dolore. Sicuramente ero emozionata, perchè c’era la paura di sbagliare. Poi c’era la paura di quello che la gente poteva pensare di me, essendo comunque una donna. Io l’ho fatto con il massimo rispetto, mantenendo un certo rigore, poi chi vuol capire capisce. Io l’ho fatto anche per cercare di cambiare un po’ le cose, ma sempre con il massimo rispetto e la massima sensibilità».

Ancora oggi i giovani non vedono di buon occhio questo lavoro. Tu oltre ad essere giovane sei anche donna, il che non è usuale in questo campo. Da piccola ti facevano gli scongiuri. E oggi?
«Non è cambiato molto, anche se la mentalità inizia ad aprirsi. Col passare degli anni andrà sempre meglio. Ma la città non è cambiata, quindi per me è quasi una sfida tra me e gli altri. Già per un uomo essere denominato “becchino” non è facile, per una donna è ancora più difficile. Ma prendo tutto quello che mi capita come una sfida».

E se abitavi a Milano? Era più facile?
«Credo che questo lavoro sia visto così un po’ ovunque. Magari nelle grandi città… Una volta sono stata in fiera con mio padre e lì c’erano già molte donne che facevano questo mestiere, ma in quel caso erano considerate semplicemente delle imprenditrici. Comunque al nord non hanno la nostra stessa organizzazione. Qui c’è proprio una dedizione per questo lavoro, forse perchè siamo molto tradizionalisti. Anche perchè la maggior parte delle volte è un’agenzia a conduzione familiare, mentre al nord è tutto diverso, molto più “freddo”».

In prospettiva, dove ti vedi?
«Mi vedo dove e come sono oggi, soltanto più grande e più esperta. Con la capacità di fare anche quelle cose che ancora non ho fatto. Riuscendo magari a soddisfare quel cliente, come è capitato qualche giorno fa, che chiedeva una donna quando muore una donna. E io la penso così, perchè un uomo ha una sensibilità diversa».

Si riesce a trovare altre persone che vogliono lavorare in questo campo?
«No!», la risposta è secca, ma anche argomentata: «Sono sempre gli stessi che lavorano nel settore. Ma se volessi ringiovanire la mia agenzia, con persone della mia stessa età, vestiti in un certo modo, organizzata per bene, sarebbe impossibile. Se chiedo ad un coetaneo di venire a lavorare mi risponde di no. Infatti siamo “costretti” a servirci di gente proveniente dalla vicina Puglia».

Quindi la nostra città è ancora chiusa? E l’emancipazione? Matera 2019?
«Purtroppo siamo ancora indietro. Ma io ci credo in questa città. Sono positiva. A prescindere da Matera, le cose cambieranno. E io mi impegnerò per farle cambiare».

Tu sei una persona legata alla tecnologia. Come pensi che la tecnologia possa entrare in questo lavoro? Sarà utile?
«Certamente. Può migliorare il nostro lavoro. E tutto può diventare più veloce. Ma la preparazione la deve fare per forza una persona. Come anche la chiusura definitiva del cofano funebre. Quello è forse il momento più triste per chi partecipa alla funzione».

Per chiudere. Cosa diresti a chi vuole intraprendere questo lavoro?
«Non posso dire che è un lavoro come un altro. Quindi bisogna approcciarsi in maniera diversa perchè non è terrificante come dicono, anzi. Questo è un lavoro che ti cambia e ti cambia in meglio. Dinanzi alla morte siamo tutti uguali, come dinanzi all’amore».

Quanto è sottile il confine tra la morte e l’amore?
«E’ molto sottile. Credo che solo dinanzi a questi due emozioni siamo tutti uguali».

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