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POTENZA – «Ridicolo, alterato e tendenzioso». E’ il ritratto dell’ex pentito calabrese Nino Lo Giudice secondo il vecchio boss dei basilischi Antonio Cossidente, collaboratore di giustizia da ottobre del 2010.

Attraverso il suo legale, Elmina Latella, Cossidente ha deciso di replicare dalle pagine del Quotidiano alle accuse che “il Nano” gli ha rivolto nel suo secondo memoriale di ritrattazione, dopo la fuga di giugno da Macerata dov’era nascosto sotto falso nome dal servizio centrale di protezione. 

Il potentino, al centro del mistero sul duplice omicidio Gianfredi, della calcio connection tra sport e malavita all’ombra dello stadio Viviani e del processo sui rapporti tra il clan e la politica, annuncia azioni legali nei suoi confronti. In più dice di aver riso per le «inesattezze espresse» dall’ex pentito nel capitolo del memoriale consegnato due settimane orsono a giornali e a un avvocato di Reggio Calabria, le falsità e le cose «infondate» sul proprio conto. 

In totale quella dedicata a Cossidente è poco meno di una paginetta in cui Lo Giudice racconta il loro incontro nella sezione riservata ai collaboratori di giustizia del carcere romano di Rebibbia, descrittta come una fucina di testimonianze concordate, per creare «tragedie» che nessuno può smontare in Tribunale. Lì il lucano Cossidente, da accanito lettore dei libri del procuratore aggiunto reggino Nicola Gratteri, si sarebbe presentato come una specie di “maestro dei falsi pentiti” e avrebbe insegnato a lui, figlio di Giuseppe Lo Giudice del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria (ucciso nel 1990 durante la guerra di mafia), i riti, le regole e la struttura della ‘ndrangheta e il modo migliore di affrontare i processi nel suo nuovo ruolo. In cambio però gli avrebbe chiesto notizie sulla mala dello Stretto per provare a «entrare» nei processi più importati dela sua città, in particolare quelli sul potente clan De Stefano.

«Cossidente è stato ritenuto attendibile non solo dalla Dda di Potenza – spiega il suo avvocato – ma anche da altre Dda di Italia, tra cui quella di Reggio Calabria, che lo hanno ascoltato già prima che lo stesso fosse trasferito nel carcere di Rebibbia. La collaborazione e le dichiarazioni rese dal signor Cossidente Antonio nel corso dei 180 giorni stabiliti dalla legge e terminati in data 5 aprile 2011, avevano già riguardato fatti relativi a processi celebrati in Calabria, pertanto a nulla sarebbero servite le notizie relative alla mala di Reggio Calabria, che gli avrebbe dovuto fornire l’ex pentito, per entrare come supertestimone nei processi calabresi».

Di fatto nei verbali di Cossidente ci sono anche i traffici di cocaina sull’asse Potenza-Africo Nuovo con personaggi dai nomi altisonanti come Pietro Morabito, parente dello storico boss Giuseppe detto “U tiradrittu”, e i retroscena di omicidi illustri come quello di Salvatore Cordì, il padrino di Locri ucciso a Siderno nel 2005 nell’ambito di quella che secondo gli inquirenti reggini sarebbe stata una vera e propria faida tra la cosca omonima e i rivali del clan Cataldo. Di qui la richiesta di sentirlo come testimone nei relativi processi.

«I diversi percorsi criminali realizzati dal collaboratore Antonio Cossidente e dall’ex pentito Antonino Lo Giudice, hanno fatto di loro persone diverse, l’una seria e attendibile, l’altra alterata e tendenziosa». Rincara l’avvocato, aggiungendo che «nel corso della sua collaborazione (ormai definitiva, ndr) il signor Antonio Cossidente è stato detenuto in regime di isolamento di circa un anno con divieto di corrispondenza in entrata e in uscita dal carcere, telefonate e lettura dei quotidiani lucani». Perciò sarebbe difficile se non impossibile che l’incontro a Rebibbia con Lo Giudice sia avvenuto davvero.

Intanto, sulla scomparsa del “nano” è stato aperto un secondo fascicolo d’indagine dopo quello dei pm reggini. A gestirlo è la procura della Repubblica di Macerata, dato che è lì che si trovava prima della fuga e della ritrattazione di tutto quanto dichiarato ai magistrati, inclusa la confessione per le bombe fatte esplodere nel 2010 contro la Procura generale di Reggio Calabria e contro l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro, e l’intimidazione all’allora procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone per cui venne fatto ritrovare un bazooka ad alcune centinaia di metri dal palazzo della Dda.

Nel video consegnato assieme al secondo memoriale (il primo risale a giugno) Lo Giudice afferma di trovarsi all’estero e di aver consegnato delle carte assai delicate come assicurazione sulla vita nelle mani di un funzionario del consolato italiano dello Stato dove ha trovato rifugio.

lama

l.amato@luedi.it

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