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REGGIO CALABRIA – Minacciava di diventare la «prima pentita di Rosarno» se la sua sete di vendetta per la morte del figlio non fosse stata esaudita dagli uomini della famiglia Ascone. Era Francesca Marfea, una delle 23 persone raggiunte stamane da misura cautelare nell’ambito dell’operazione «All Inside 3», che invocava vendetta per la morte del figlio, Domenico Ascone. Il ruolo di due donne coinvolte nell’operazione, la stessa Marfea e Carmela Fiumara, rispettivamente mogli del presunto reggente e del presunto capo di quello che gli investigatori indicano come il clan Ascone, è stato tratteggiato dal maggiore Michele Miulli, comandante del Nucleo investigativo del Comando provinciale dell’Arma, nel corso della conferenza stampa di stamani. Il ruolo delle due donne, ha spiegato il maggiore, non si limitava a portare fuori e dentro il carcere i messaggi tra i rispettivi mariti e gli altri presunti sodali, ma avrebbe integrato il reato di associazione mafiosa. In particolare, la Fiumara in un’occasione si è lamentata che il figlio, vittima di tentato omicidio, fosse stato soccorso e portato ferito all’ospedale, dove aveva terminato lo stato di latitanza venendo arrestato.

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