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SI ostinano a non chiamarlo politico, ma quello del 12 e 13 giugno sarà un referendum politico. Così come tutte le volte che i cittadini sono chiamati a una scelta di responsabilità, a non delegare, per una volta a decidere. Fanno politica. Ecco su cosa i 25 milioni di italiani che servono a raggiungere la soglia necessaria a dare validità al voto dovranno scrivere sì per dire no e viceversa. Primo e secondo quesito: l’acqua. Per chi vota sì deve rimanere pubblica, nel senso che continuerà ad essere gestita da società a maggioranza di capitale pubblico e le tariffe che i cittadini versano per pagarla non dovranno informarsi a criteri di mercato. Traducendo: il servizio non dovrà essere pagato tanto da contribuire al profitto delle società private che lo prenderanno in gestione. E’ evidente che i due quesiti sono collegati. Perché quale spa prenderebbe in gestione un servizio se non per trarne un beneficio? Quale impresa investirebbe, rischiando, per non guadagnarci nulla? Votare sì significa allora, innanzitutto, legittimare il principio che l’acqua è un bene di tutti, indispensabile alla quotidianità dei cittadini, per cui è giusto e necessario che a disciplinare le varie fasi del suo ciclo siano i cittadini stessi, per il tramite di enti pubblici. Chi vota no (come nel commento che ospitiamo nella pagina a fianco) generalmente non si fida della gestione clientelare delle società in cui gioca un ruolo la politica e ritiene che il privato, dovendo inseguire il profitto – appunto – si impegnerà al massimo per garantire un buon servizio. La domanda è: ammettiamo che il servizio non sia di gradimento anche di un solo utente. Cosa farà? Potrà cambiare gestore. E se per cambiare dovrà pagare di più? Si comporterà con una risorsa storicamente (perché naturalmente) pubblica, così come fa quando cambia gestore di telefonia. Terzo quesito: nucleare. La moratoria varata ad aprile dal Governo invitava a non decidere sull’onda lunga degli effetti devastanti della bomba ecologica di Fukushima. Un modo come un altro per far perdere di validità al referendum, per i sostenitori del sì, poiché è senza dubbio questo il quesito trainante tra i quattro che ci vengono proposti. Mentre la Germania chiude tutte le sue centrali, noi vogliamo invece attivarle sul nostro territorio? Siamo destinatiad un futuro legato a questo tipo di energia? O si può investire sulle rinnovabili? Nella regione delle estrazioni petrolifere e dlle royalties che ne derivano, ma soprattutto dei centomila che hanno marciato su Scanzano prevediamo una forte mobilitazione – come del resto testimoniano le decine di iniziative che pubblicheremo di volta in volta nella sezione appuntamenti – per evitare le centrali atomiche. Chi dice no sostiene, a ragione, che il petrolio prima o poi esaurirà, ma pregiudizialmente non si affida a processi culturali lunghi e difficoltosi come quelli necessari all’utilizzo delle energie pulite. Infine il legittimo impedimento, ossia la norma in virtù della quale il premier e i ministri inquisiti possono non presentarsi alle udienze adducendo motivazioni istituzionali. Chi è per la giustizia uguale per tutti voterà sì, chi dice no sancisce il principio orwelliano secondo cui esistono alcuni cittadini più uguali degli altri. Noi del Quotidiano, stavolta senza restare super partes, ci schieriamo convintamente dalla parte dei 4 sì. Di più: invitiamo i lucani a recarsi alle urne e a condizionare l’attività legislativa con il proprio voto. E invitiamo a discutere tutti, anche chi è per il no, sulle nostre pagine, perché non prevalga la politica dell’indifferenza e della delega in bianco.

Rosamaria Aquino

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