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VIBO VALENTIA – Il re del sushi non trova pace. Se è stato un attentato, il bilancio sale a trentaquattro. O forse sono trentacinque. Difficile, per Vincenzo Ceravolo, l’imprenditore ittico patron della Marenostro e testimone di giustizia, tenere il conto. Il fatto in sé, comunque, è serio e desta allarme: alla mezzonotte di sabato, nello specchio acqueo del porto di Vibo Marina, era ormeggiato uno dei motopescherecci della flotta alle dipendenze del gruppo Ceravolo; all’alba, ieri, non c’era più. Affondato. Nessuno avrebbe visto o sentito nulla. Il mistero giace sul fondale. «Attendiamo con cautela gli accertamenti che saranno esperiti – spiega l’avvocato Antonello Fuscà, legale che da anni segue le vicende giudiziarie dell’imprenditore, interpellato dalla nostra redazione -. Al momento abbiamo solo un dato, e cioé che l’imbarcazione è affondata. Non ci sono elementi per avvalorare, o viceversa escludere, un episodio doloso. Certamente è un episodio che desta tanta amarezza quanto stupore».
I sommozzatori del gruppo Ceravolo hanno provato a calarsi giù per comprendere cosa possa essere accaduto, ma la spedizione, a causa delle acque torbide, è stata infruttuosa. Sarà necessario, attraverso una costosa operazione di recupero, far riaffiorare il motopeschereccio – peraltro acquistato da circa un mese e perfettamente efficiente – per comprendere le cause di un episodio increscioso, sul quale per il momento indagano congiuntamente la Capitaneria di Porto di Vibo Marina e il Reparto aeronavale della Guardia di finanza con il coordinamento della Procura della Repubblica di Vibo Valentia. 
Sul caso, d’altronde, nel volgere di breve tempo potrebbe intervenire la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che delle attenzioni della criminalità organizzata sul re del sushi aveva avuto modo di occuparsi in uno degli ultimi blitz del 2013. Fu chiamato “Never ending”, ovvero «senza fine», proprio come l’odissea di Ceravolo. Raccontava del tentativo degli emissari del clan Mancuso affinché il supertestimone ritrasse le accuse nei confronti di uno dei boss del colosso mafioso di Limbadi e Nicotera, Pantaleone detto “Luni Scarpuni”, lo stesso che tra il 1994 e il 2001 gli rese la vita un inferno. Ceravolo lo accusò, lo fece arrestare. E il 22 ottobre 2004 il Tribunale di Vibo condannò Mancuso a dodici anni di reclusione. Sentenza confermata dalla Corte d’Appello, per un secondo grado che giunse all’epilogo solo il 10 febbraio del 2009. La Cassazione, invece, fu rapida e l’1 dicembre 2009 annullò con rinvio. Il nuovo processo d’appello, quattro anni dopo, non è mai iniziato. E il capomafia, ritenuto il leader dell’ala militare di uno dei casati di ’ndrangheta più potenti, avrà forse pensato che ci fosse ancora tutto il tempo per rimettere il processo a posto. 
Fino a quel blitz, il patron della Marenostro aveva subito trentatre intimidazioni (tra attentati, incendi, danneggiamenti e furti). Tre lustri d’inferno. Nonostante ciò, nel luglio del 2012, a Ceravolo era stata perfino revocata la scorta, poi ripristinata. Malgrado le denunce e le ritorsioni milionarie ancora attende il risarcimento dei danni. 
Il mistero del peschereccio affondato, anche stavolta, potrebbe finire alla Dda e, in particolare, sulla scrivania di Rodolfo Ruperti, oggi capo della Squadra di Catanzaro, ieri a Vibo. Ruperti, il superpoliziotto, che partì proprio dalla denuncia di Ceravolo, risalente al 2001,  e iniziando da “Scarpuni” finì col mettere in ginocchio tutto il clan Mancuso.

VIBO VALENTIA – Il re del sushi non trova pace. Se è stato un attentato, il bilancio sale a trentaquattro. O forse sono trentacinque. Difficile, per Vincenzo Ceravolo, l’imprenditore ittico patron della Marenostro e testimone di giustizia, tenere il conto. Il fatto in sé, comunque, è serio e desta allarme: alla mezzonotte di sabato, nello specchio acqueo del porto di Vibo Marina, era ormeggiato uno dei motopescherecci della flotta alle dipendenze del gruppo Ceravolo, acquistato appena un mese fa; all’alba, ieri, non c’era più. Affondato. E nessuno avrebbe visto o sentito nulla.

Le indagini potrebero anche passare alla Dda dato che le accuse di Ceravolo negli anni scorsi hanno permesso il superboss di Limbadi e Nicotera, Pantaleone Mancuso detto “Luni Scarpuni”, lo stesso che tra il 1994 e il 2001 gli rese la vita un inferno. Per Mancuso la sentenza di condanna è stata annullata con rinvio dalla Cassazione e ora si attende che l’Appello torni a pronunciarsi.

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