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MATERA – Nella conversazione con Emilio Nicola Buccico, è la parola pronunciata più spesso.

Umiltà, per l’avvocato,  ex sindaco di Matera è un termine imprescindibile, soprattutto  in un momento come questo con la città impegnata a diventare capitale europea della Cultura nel 2019. E’ solo con questo approccio che si può giungere ad un risultato positivo e condiviso.

Di questo tema, Buccico, fu il primo a parlare e per questo, oggi, analizza con ulteriore attenzione il dossier di presentazione della candidatura.

Quell’idea, oggi, è ancora la stessa?

«Sarei felicissimo se Matera ottenesse la candidatura. Purtroppo – risponde – si sta creando un equivoco. Questa idea nacque in maniera casuale. Nicola Rocco, approfondì questo tema dopo aver letto della candidatura di Ravenna.

 Un gruppo di giovani di Matera lo stava portando avanti e noi decidemmo di sponsorizzarla. L’idea, però, aveva bisogno di contenuti, riflessioni, approfondimenti, confronto e coinvolgimento. Il percorso, oggi, però, avrebbe dovuto avere altri indirizzi».

Cioè?

«Innanzitutto manca il coinvolgimento della città, delle forze vive e degli intellettuali della città. Sarebbe stata necessaria una grandissima opera di confronto.

Qualche tempo fa, in una precedente intervista, ne avevo citati alcuni: Pontrandolfi, Mimmo Calbi, Giovanni Caserta, Lorenzo Rota, Raffaello de Ruggieri,  Antonio Calbi che credo ora sia in parte sconparso.

Ho incontrato recentemente il prof. Amerigo Restucci, Rettore della facoltà di architettura a Venezia e gli ho chiesto se fosse stato chiamato da qualcuno in merito a questa candidatura. Mi ha risposto di non essere mai stato contattato. “Ne avrei avuto piacere – mi ha detto».

Crede, dunque, si tratti di un meccanismo autoreferenziale?

«Ricordo sempre una bellissima frase che mi scrisse un vecchio,  indomito borghese come Raffaello De Ruggieri di cui ho grande stima: “ E’ una città nella quale dobbiamo incrociare le tensioni, le passioni, le aspirazioni e le utopie”.

Invece non ci siamo confrontati su questo aspetto. Paolo Verri viene da un altro mondo, è un piemontese che nella nostra città è part-time, e non ha effettuato  quell’approfondimento che  sarebbe stato essenziale per un lavoro di base che giungesse ad una valido piattaforma culturale.

Il dossier mi è stato consegnato dal sindaco Adduce prima della presentazione pubblica nel corso della Fiera di settembre. Mi invitò  preferii non partecipare. Mi era stato detto che avrei dovuto rispondere a domande di Roberto Linzalone; ma ognuno si sceglie i poeti che vuole.

Tornando al dossier, vedo citati Sinisgalli, Scotellaro, Levi; nessuno però si è rivolto a Franco Vitelli, il  loro più grande studioso vivente? Credo, dunque, ci dovessero essere due grandi momenti di coinvolgimento. Non parlo di me che non sono stato mai chiamato se non da Franco Bianchini  che fa parte del Comitato, assolutamente nudo rispetto alla storia della nostra città.

Prese un sacco di appunti e mi ringraziò.

Avrei svolto anche un altro tipo di coinvolgimento ricercando i materani che sono fuori. Tranne Pietro Laureano, mancano i materani che hanno segnato qualcosa nel mondo. Penso, ad esempio, a Donato Masciandaro all’apice della Bocconi. In sintesi, non si può portare avanti la candidatura di una città senza conoscere il carattere del suo popolo».

Quella che gli intellettuali di oggi chiamano “pancia”?

«Appunto. Noi siamo un topos particolare  nel sud e per questo credevo ci volesse questo passaggio, ma forse i piemontesi ragionano diversamente anche se Giulio Bollati, altro piemontese,  alla fine degli anni ‘90 scrisse un saggio sul carattere degli italiani. A Paolo Verri do’ un consiglio: vada a visitare la casa di Goethe a Roma, in via del Corso. Fu uno di quelli che alla fine del ‘700 girò tutta l’Italia per comprendere il nostro popolo».

Qual è l’altro aspetto che lei approfondirebbe nel dosser di candidatura?

«Le alleanze. Non abbiamo fatto una politica adeguata, asincronie storiche come il Cilento o  parte della Puglia. E’ un linguaggio approssimativo e superficiale che non affonda le radici nella storia. Noi non possiamo presentare Matera come la città dell’uomo che si offre a tutti come un unicum, ma dobbiamo inserirla nella dorsale federiciana e nella Terra d’Otranto con cui abbiamo confuso i nostri destini, balcone verso le luci d’Oriente.

Dire che questa candidatura è accompagnata dai 131 comuni lucani, poi, è lapalissiano. Alleanze forti nel settore della cultura, avrebbero determinato sinergie tali da far sì che fra noi, Taranto e Lecce si sarebbero  potute creare collaborazioni o forse rinunce».

Lei ha citato i 131 comuni della Basilicata. Sotto il profilo del coinvolgimento a questo progetto, lei crede si possa trattare di un’azione di facciata?

«A me appare un legame superficiale, non un’alleanza forte di contenuti. Dobbiamo coinvolgere in modo diverso, rivendicando l’unicità della nostra collocazione storica».

Sul dossier, in generale, lei cosa pensa?

«E’ un format adattabile a tutto, che va  bene per Matera, Cosenza o Nola. Come personalità  materana è stato citato Egidio Romualdo Duni, a Cosenza  potremmo parlare di Telesio, a Nola di Giordano Bruno. Per il resto è una struttura tenuta insieme da un artifizio retorico: la parola insieme».

Lei su cosa avrebbe puntato?

«Non ho la ricetta magica ma mi sarei chiesto qual è la ragione per la quale siamo innamorati di Matera che per noi è un alimento dello spirito. La predisposizione ad accettare la storia della città e a trasferirla avrebbe dovuto far sì che potessimo mettere Matera in condizione di dimostrare a tutti, al di là dell’idea di Matera-Sassi, che qui c’è il cammino dell’umanità. La storia della nostra città è quella di un balcone verso le luci d’Oriente, verso le accoglienze e le diversità. Voglio ricordare una cosa: Tommaso Pedìo nel suo libro sui toponimi sostenne che Basilicata ha origine dalla Basilica di Acerenza. Noi abbiamo incarnato per  molto tempo, nell’unicità della nostra trasformazione, una città diretta ad accogliere.  Questa non è solo la terra dei re, manca  lo spirito religioso».

E’ un dossier, dunque, in cui non vengono approfonditi alcuni aspetti?

«E’ burocratico, buono per tutte le stagioni. Facciamo ancora in tempo, però, a far emergere gli elementi trascurati, compreso il significato religioso che ha avuto in alcuni momenti la storia della nostra città».

Ancora in tempo? Come si fa?

«Ci vuole umiltà, consapevolezza dei propri limiti, coraggio. Il cammino è ancora lungo. Matera entrerà  nella short list, ma non per il dossier quanto per l’aura magica che la accompagna da tempo.  Organizziamo una conferenza di tutte le forze intellettuali che vivono in città. Il dossier va rimpolpato. dobbiamo far entrare lo spirito della città. La mia non è polemica ma ho letto il riferimento al familismo amorale; si tratta di aspetti  storici che non c’entrano. Se fossi stato il sindaco avrei convocato tutti, riunendoli attorno ad un tavolo; mettendo vicini tutti coloro che conoscono questa città, meglio di un piemontese part time».

Che materiale avrebbe preparato lei?

«Avrei fatto un altro dossier, avrei fatto venire fuori il respiro della nostra città, in una cornice storica in cui finora non è stata messa. Qui nessuno è più bravo degli altri,  ma serve un lavoro collettivo intellettuale di chi conosce la nostra città con cui scambiare idee.

Tornando a Verri, ricordo che noi siamo legati al Piemonte: Carlo Levi era piemontese, Adriano Olivetti a Matera ha avuto il suo momento massimo di espansione.  Purtroppo, non ho mai incontrato Paolo Verri a Matera; come fa a rappresentare questa città, con chi ha mai parlato? Io, al loro posto, mi sarei mosso con molta umiltà. Io, invece, sono stato vittima di interdetto, non potevo far parte del Comitato. Il mio contributo sarebbe stato  disinteressato:  sono fuori dalle beghe politiche e  dopo l’elezione a sindaco sono tornato fra le sudate carte professionali.

Indipendentemente da me, le prossime tappe, però, devono essere svolte con spirito di reciproca umiltà».

a.ciervo@luedi.it

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