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RICCHI premi e cotillon e anche il capodanno è apparecchiato. Raiuno si appresta a sbarcare nei Sassi portandoli nelle case di tutto il mondo e sottraendoli “alla cerchia  ristretta dei club della cultura”, come spesso ripete l’ex sindaco Salvatore Adduce. Niente bighe, croci, Levi e Pasolini. Nella città surrogato della Palestina si può anche fare festa. Magari con pettole e spumante più che con caviale e champagne. Siamo a Matera mica a Courmayeur o a Portofino.

Un bel bagno di umiltà, salutare per chi ha dimenticato lo stato di estrema povertà in cui si viveva da queste parti fino ad una settantina di anni fa e che oggi storce il naso di fronte al “circo mediatico” di Carlo Conti, il nuovo Pippo Baudo della tv nazionalpopolare.

Eppure Matera non è mai stata capitale di un impero né di un regno ma una città che ha rivestito una certa importanza trovandosi al centro delle direttrici commerciali Est-Ovest. Una piccola città del Sud, che ha la sua bellezza nell’architettura spontanea, non pianificata, fatta di semplicità, costruita da artigiani, dove non ci sono opere Michelangelo o di Brunelleschi.

Matera adesso è tornata sotto i riflettori: la gente vuole vederla, vuole scoprirla, vuole ammirarla e una comunità “open” come dice la Bibbia (il dossier, mica i Testamenti) deve prepararsi ad accogliere tutti i visitatori, non solo quelli col pedigree. Anche perché non è il Capodanno di Raiuno ad aver creato le condizioni per lo sviluppo di un turismo di massa che è il frutto invece della mancata programmazione del settore negli ultimi quindici anni in cui è stato tradito lo spirito del progetto di recupero degli antichi rioni che privilegiava la residenzialità alla musealizzazione e aborriva la mercificazione del patrimonio.

Sono i materani, in altre parole, ad aver aperto la strada allo sfruttamento caotico della risorsa Sassi e lo hanno fatto ormai da alcuni anni. Da quando li hanno trasformati in un villaggio turistico con posti letto, ristoranti e spettacoli di animazione che variano a seconda della settimana in cui si prenota: presepe vivente a Natale, Vie Crucis di luci colorate e croci di legno piantate sulla Murgia a Pasqua. Si arriva così alla commercializzazione del “tipico” o peggio ancora del tarocco. Matera come la Palestina, appunto. Panzerotti e focaccine, pizzette e pizzettine, peperoni cruschi e cialledda, pane e purè di fave.

La nuova moda oggi è quella delle case vacanza. Ne spuntano in ogni angolo della città. Basta avere un appartamento et voilà, il gioco è fatto. E poco importa se è diventato difficile trovare case in affitto o se, nella migliore delle ipotesi, i prezzi sono lievitati al punto da essere inaccessibili per i residenti. Servono nuovi posti letto e quindi nessun ostacolo, nessun controllo. Così come per i fantomatici bed and breakfast, pensioni con prezzi da hotel, dove spesso non ci abita nessuno e la colazione arriva in camera dal garzone del bar vicino. Quali ritorni dà un turismo così, in cui tutti si affrettano a strappare un brandello di carne dall’osso prima che finisca? Vogliamo chiederlo ai dipendenti delle strutture ricettive che lavorano quasi tutti a giornata, con i voucher, emblema del lavoro liquido? A quelli che potrebbero essere stabilizzati, visto il volume di affari che ormai questo turismo di massa sta generando ma solo per i proprietari di case e alberghi?

Il problema percepito sembra essere però il capodanno di Raiuno senza che si renda conto che la comunità asservita alle logiche del turismo è già una realtà che si può guardare in faccia, a meno che non si scelga di abbassare la testa e di metterla sotto la sabbia. Un problema comune a tante altre città, Venezia è il caso di scuola. Non era difficile prevedere quello che sarebbe accaduto ma non si è avuta la forza, forse la lungimiranza, di smorzare gli effetti negativi di un processo complicato da governare.

In un passaggio del libro fotografico di Nico Colucci, Materacityscape, Renzo Piano ammoniva: “Non bisogna far diventare i Sassi un museo ma bisogna aver paura anche di farli diventare un presepe”. Era il 2003. Oggi, Matera, nell’immaginario collettivo, è un presepe. Ecco perché il capodanno nazionalpopolare non è, in sé, una catastrofe. Non si vedono nobili in questa città, è facile però trovare tanti sanculotti imborghesiti.

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