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Manca la prova del coinvolgimento e sarebbero emersi legami tali da concretizzarsi in condotte dolose. Davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro, ieri, il processo a carico di 16 imputati coinvolti nell’inchiesta “Why not” su presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici in Calabria, giudicati con il rito abbreviato a marzo 2010, quando il giudice per le udienze preliminari, Abigail Mellace, oltre alle decisioni sui riti alternativi che si conclusero con 8 condanne e 34 assoluzioni totali, pronunciò anche 27 rinvii a giudizio (il processo dibattimentale è in corso) e 28 proscioglimenti per coloro i quali non chiesero l’abbreviato.
A caratterizzare l’udienza, le arringhe difensive degli avvocati degli ex presidenti della Regione Calabria, Agazio Loiero e Giuseppe Chiaravalloti, per i quali i rispettivi legali, Nicola Cantafora, Marcello Gallo e Armando Veneto, hanno concluso chiedendo di confermare la pronuncia di assoluzione già emessa dal gup. Una pronuncia che la Procura, rappresentata da sostituti procuratori generali Massimo Lia ed Eugenio Facciola, ha impugnato, contestando, in particolare, l’assoluzione per il reato di abuso di ufficio nei confronti di Loiero, relativamente al solo capo d’imputazione relativo al progetto finalizzato al “Censimento del patrimonio immobiliare”, e l’assoluzione per il capo d’accusa relativo al progetto chiamato “Ipnosi” nei confronti di Giuseppe Chiaravalloti, concludendo con due richieste di condanna, ad un anno di reclusione per Loiero, e ad un anno e sei mesi per Chiaravalloti.
L’impianto accusatorio è stato contestato con fermezza dai legali che hanno insistito per la non colpevolezza dei propri assistiti. In particolare, gli avvocati hanno evidenziato come in alcune intercettazioni telefoniche era emerso che l’allora presidente della Regione Calabria era contrario nel prorogare l’affidamento dei progetti alla società Why not mentre, dal canto suo, l’avvocato Armando Veneto ha ricordato «l’ampissima disamina del gup che ha ritenuto inutilizzabili elementi del teorema accusatorio quali ad esempio alcune dichiarazioni rese in aula dai testimoni dell’accusa intrise di maldicenze e non per questo attendibili». Il tutto per spiegare che l’intero castello accusatorio per il suo assistito si sarebbe basato sull’asserita amicizia dell’ex presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti, con Antonio Saladino, principale accusato del processo, senza che tuttavia i rapporti amichevoli siano mai sfociati nella commissione di alcun reato. Conferma della sentenza assolutoria anche per Tommaso Loiero – assolto in primo grado e per il quale la Procura ha chiesto 8 mesi di reclusione – difeso dall’avvocato Enzo Ioppoli, che, nel corso della sua arringa, ha spiegato quanto la presenza del suo assistito sia stata ininfluente nel corso di una riunione avvenuta a casa del fratello Agazio non ricoprendo alcuna posizione alla Regione rispetto alla vicenda relativa al Censimento del patrimonio immobiliare.
«Tommaso Loiero era lì perché – ha sostenuto – era a casa del fratello, in un ambiente familiare. Se la riunione fosse stata organizzata in una sede diversa, ma solo allora, forse ci saremmo dovuto chiedere il perché». La parola è poi passata all’avvocato Italo Reale, legale di Francesco Saladino – per il quale la Procura ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado con il quale è già stato condannato a quattro mesi di reclusione e 300 euro di multa – e agli avvocati Enzo Galeota per Anastasi Pasquale – assolto in primo grado e per il quale la Procura ha chiesto 8 mesi. Si torna in aula il prossimo 24 gennaio per le arringhe dei difensori degli altri imputati: Gianfranco Luzzo, Franco Nicola Cumino, Giuseppe Fragomeni ed Enza Bruno Bossio, tutti già completamente assolti. E poi: Antonio Saladino, ex leader della Compagnia delle opere in Calabria e principale indagato di “Why not”, condannato a 2 anni di reclusione solo per alcuni capi; Giuseppe Antonio Lillo, già condannato a un anno e 10 mesi; e Pietro Macrì, già condannato a 9 mesi di reclusione e 900 euro di multa, per i quali la Procura ha chiesto un aggravio delle condanne. E infine: Antonio La Chimia, Vincenzo Gianluca Morabito, Rinaldo Scopelliti, per i quali la Procura ha chiesto la conferma delle condanne già sentenziate al termine degli abbreviati.

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