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POTENZA – Ci andavano a nuotare, nel Basento. Nel Dopoguerra ma anche oltre. Proprio lì dove adesso l’acqua è molto inquinata e nel cielo si spandono fumi di ignota pericolosità.

E proprio su questo luogo, sulla zona pomposamente definita “area industriale”, si è parlato ieri sera nel corso di un incontro organizzato dal Rotary Club Potenza e dal Club Potenza Ovest.

Una sera (di cui riportiamo la prima parte, per esigenze di stampa) giocata su due registri: quello emozionale e quello razionale. Quello della passione artistica e quello della precisione scientifica.

A introdurre la platea – un’aula magna in cui era occupata ogni poltrona disponibile – al clima del convegno, Pasquale D’Aquino, presidente del Potenza Ovest e amante della fotografia. Dopo i saluti del prorettore Sergio De Franchi, e dimostrando indubbie doti d’intrattenitore e narratore, D’Aquino – in piedi e a suo agio col microfono – innanzitutto illustra la missione del Rotary: servire. “E i rotariani servono”, dice, quasi parodiando la famosa “Le serve servono” di Totò, ricordando che, a partire dal ruolo di esponenti della classe dirigente del proprio territorio, si mettono a disposizione di chi ha bisogno e cercano di fare la differenza.

D’Aquino costruisce dal vivo un microracconto sul futuro della chiesa della Trinità (quando un ipotetico futuro assessore municipale, ignaro di cosa sia stata la chiesa per Potenza, la spiana per realizzare dei parcheggi auto), e così facendo prepara i presenti alla temperie sentimentale della proiezione che seguirà. Un montaggio cinematografico di numerose foto con una colonna sonora che spazia dalla classica al jazz, dalla musica d’ambiente a Celentano. Istantanee di una Potenza bella ma martoriata dal degrado, dalla mancata programmazione, dall’incuria di cittadini e amministratori. Una serie di punti di vista “altri” – scorci cittadini vissuti ad altezza tombino, albero, addirittura ad altezza buca stradale – costituiscono un viaggio attraverso le occasioni perdute. Un centro storico carico di memoria ma attaccato dal vandalismo, una zona industriale fatta di tetti di eternit (la Suinicola Lucana, al secolo ex Cip Zoo), opere d’arte mai valorizzate (il ponte Musmeci e il suo cemento plastico), camini industriali che fumano in maniera preoccupante, prepotenti in un cielo destinato a ben altri colori. E ovunque tronchi d’alberi e rami, onnipresenti, intrecciati, spogli o verdeggianti, a ricordare che la natura resiste.

Alla fine Renato Maffione, psichiatra e presidente Rotary Potenza, fa opera di coscienza collettiva sottolineando, nel buio della sala, il valore delle emozioni appena provate. E cerca di ribaltare la visione che di prammatica tutti danno di Potenza: è brutta. “Una bruttezza che devo impegnarmi a mettere a fuoco”. La città è il luogo in cui l’identità di ogni cittadino nel bene e nel male si forma. Il luogo del primo bacio, del primo calcio al pallone o dell’ultimo incidente diventano parte integrante di ciò che siamo, di ciò che ognuno di noi è, proiettando ogni persona “al di fuori degli angusti confini della propria pelle”. Certo, il soffocamento dello spazio che rappresenta il cancro di Potenza rischia di bloccare, violentare questo processo.

Questi gli interventi si potrebbe dire “poetici” della serata, cioè legati a una visione emozionale e sentimentale di Potenza e della zona industriale.

Cominciano gli interventi di taglio diverso, per certi versi diametralmente opposto. Fedele Zaccara, architetto, traccia una storia della zona industriale. Una storia che non è solo cronologia ma analisi dei processi.

Da quando, il 10 agosto del 1950, nasce la Cassa per il Mezzogiorno, al ’61, anno in cui viene istituito il Consorzio per l’Area Industriale della Valle del Basento.

La decisione di individuare proprio il lungo Basento per impiantare le industrie viene letta, a posteriori, come potenziale problema. Nel 1996 Alfredo Buccaro, per Laterza, pubblica il libro “Potenza” in cui parla di “perdita del rapporto della città con l’area fluviale” e “stop alla spontanea espansione della città”. Intanto, però, nel 1989 era stata concessa l’autorizzazione a costruire edifici non solo di natura industriale, ma anche commerciale e artigianale.

Ed ecco i risultati: su 264 ettari, solo il 16% è rimasto alle industrie (in particolare SiderPotenza, Ponteggi Dalmine e Italtractor). Molte le aree dismesse. Commercio e terziario hanno il doppio della superficie, il 32%.

“L’azione pubblica, secondo me, asseconda ma non guida i processi in atto”, afferma Zaccara. I problemi? Vari: mai firmato l’accordo fra Comune e Consorzio Industriale per il passaggio della gestione; mai utilizzati i 50 milioni di euro a disposizione per le bonifiche; mai stabilito il vero grado d’inquinamento dell’area; mai decise le prospettive della ex Cip Zoo. Eppure le potenzialità per far diventare l’area industriale un’opportunità per Potenza ci sono. Bisogna coglierle. “Perché non diventi una nuova via del Gallitello”, chiosa.

Nessuna nuova viene dalla relazione, pure competente, di Bruno Bove, chimico, dirigente dell’Arpab, l’Agenzia regionale per l’ambiente.

I dati a disposizione ancora non consentono di avere un quadro completo ed esauriente di ciò che la SiderPotenza è per Potenza a livello di impatto sull’ambiente e sulla salute umana. I numeri sono notevoli: 1.250.000 metri cubi di emissioni in aria ogni ora. Quintali di zinco e altri elementi liberati nell’atmosfera. “Se mi chiamerete a parlare qui fra quattro anni, probabilmente potrò dare un’analisi molto più esauriente – sostiene Bove – certo è che dire che la SiderPotenza crea una situazione peggiore di quella dell’Ilva è un’affermazione che, al momento, nessuno può fare”.

Una certezza però Bove ce l’ha: “In Puglia l’Ilva è stata fermata perché il presidente Nichi Vendola ha investito molti soldi sulle verifiche ambientali. Qui, all’Arpab, non è accaduto”.

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