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Pino Bruno, presidente di Confindustria, i prestiti alle imprese annunciati dal Governo stanno arrivando?
Ci sono gravi ritardi. Non è colpa delle banche ma delle procedure, delle normative. Molti dipendenti sono relegati allo smart working con un elevato numero di domande da istruire. Lo smart working è utilissimo per le attività digitalizzate ma nel caso in cui c’è bisogno ad esempio della firma digitale allora ci possono essere dei problemi. Il primo male del nostro paese è la burocrazia. Gli annunci del Governo, dei veri spot pubblicitari, si scontrano con il mondo reale. Il premier dice che basta andare in banca per avere i soldi, ma non è vero.
Ma le banche sono in grado di assicurare i prestiti?
Certo, il sistema bancario italiano è molto solido. Banca Intesa è tra le più solide d’Europa.
Dunque non è colpa delle banche.
Al Sud non ci sono più banche autoctone, tranne qualche piccola banca di credito cooperativo o qualche modesta banca popolare. Per il resto ci sono cinque, sei banche nazionali che hanno una rete capillare.
Sembra che le banche siano fuggite dal Sud.
In seguito a vari processi di aggregazione, fusione, suggeriti anche dalla Banca d’Italia, il sistema bancario del Sud è stato soccombente.
E’ questo è un problema per le imprese?
La banca locale è molto più attenta a quelle che sono le esigenze degli imprenditori, conosce meglio il territorio e il capitale umano, la moralità del creditore. Quando l’imprenditore del Sud si rivolge ad una banca di interesse nazionale o internazionale contano solo gli indici di bilancio. Noi abbiamo anche la discriminante del reddito perché fare credito in una area a maggiore rischio comporta per la banca richieda maggiori accantonamenti considerato che c’è una maggiore probabilità di perdere il prestito. E’ chiaro poi che quanto più si alza il rischio, più aumenta il tasso. Al Sud dove i rischi erano maggiori le banche hanno accumulato maggiori perdite e così sono state assorbite da banche più grandi e solide.
Al Sud per fare impresa ci vuole coraggio
Qui fare impresa è più rischioso per problemi di mercato, infrastrutture, perché la pubblica amministrazione è meno efficiente o comunque un ostacolo. Le imprese vanno via. Fare impresa al Sud è eroico. La colpa è di chi non ha creato le condizioni per lo sviluppo: della politica.
Il Governo finanzia i decreti per la ripresa in deficit, questo la preoccupa?
Dobbiamo guardare al rapporto debito -Pil. Oggi il debito pubblico è pari a 2.500 miliardi, fino a poco tempo fa era pari al 135% del Pil. Anche se il debito pubblico non aumentasse, potrebbe calare il volume della produzione e il risultato sarebbe lo stesso: una sorta di troika.
Le misure del Governo sono sufficienti?
I decreti del Governo sono molto utili ma mentre il medico studia il malato muore. Oggi c’è bisogno di ossigeno per le aziende, non ce la fanno più a respirare. Il problema è che non diamo più valore al tempo. Se oggi la liquidità arriva subito, le imprese si salvano, tra tre mesi è troppo tardi. Abbiamo il dovere della chiarezza oggi, di dire le cose stanno, è un dovere morale di tutti, anzitutto della politica.
I settori più in crisi?
Si salvano solo il settore farmaceutico e l’agroalimentare di prima necessità. Il settore aerospaziale vivrà una crisi buia: gli aerei sono a terra, non c’è più dove parcheggiarli. E questo mette in crisi la produzione e tutta la filiera.
La Fca chiede i soldi al Governo ma paga le tasse in Olanda dove ha la sua sede legale: è giusto?
Fca è uno dei fiori all’occhiello dell’economia italiana nonostante sia stata maltratta. Parliamo di una multinazionale che sta subendo la crisi dell’automotive così come la Mercedes, la Volkswagen, la Ford, la Renault. Però non dimentichiamo che parliamo di una impresa che era sull’orlo del fallimento e che poi è riuscita ad acquistare la Chrysler, salvata Sergio Marchionne che è ha incassato la fiducia del Governo e dei sindacati americani. Oggi Fca ha azzerato i debiti e tratta con Peugeot. E invece qua si parla ancora della sede: ma l’azienda continua a essere italiana e a produrre in Italia. Dove ha la sede legale è un questione di mercato. Se l’Italia riuscisse ad avere un livello di tassazione più basso il discorso sarebbe diverso. Oppure bisognerebbe armonizzare la pressione fiscale tra i paesi dell’Ue. Provocatoriamente invito tutti a portare la loro sede in Olanda.
Parliamo delle vertenza Novolegno.
Ha chiuso perché per quel prodotto non c’era mercato. Una azienda non può lavorare in perdita. Fantoni ha sempre reinvestito gli utili qui e non a Pordenone. Chi dice il contrario non è onesto o comunque non conosce i fatti. Sono gli stessi che quando la Novolegno era in attività si incatenavano per far chiudere lo stabilimento.
E d’accordo con la proposta del presidente della Provincia, Mimmo Biancardi, di “acquisire” l’Asidep attraverso Irpiniambiente?
L’Asidep è la classica azienda che anziché produrre valore brucia ricchezza. Se Biancardi ha un piano industriale ben venga. Non è una questione di capitale pubblico o privato. Oggi c’è un pregiudizio contro il privato.
Alto Calore, quale futuro?
Qui in Irpinia abbiamo un bene preziosissimo come l’acqua, il secondo bacino idrografico d’Europa. Diamo l’acqua a tutta la Campania, compresa Napoli, e alla Puglia. E’ possibile che una azienda con materia prima a costo zero e con un mercato in monopolio abbia prodotto tanti debiti? L’Acquedotto pugliese Spa, azienda partecipata al 100 per cento della Regione, produce profitti. Il Presidente Ciarcia sta facendo un grande sforzo, un lavoro straordinario, portandosi sulle spalle il fardello dei 140milioni di euro di debito che ha ereditato. Bisogna intervenire con una terapia d’impatto. Gli azionisti pubblici, i Comuni e la Provincia, devono ricapitalizzare.

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