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Biblioteca dell’Archivio di Stato dell’Aquila-Sezione Staccata di Sulmona

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Il silenzio dell’amministrazione comunale di Sulmona sulla ventilata chiusura dell’Archivio di Stato, come questione che non pertiene alle responsabilità civiche, è un grave segnale di difetto di prospettiva politica e culturale. L’accentramento dell’Archivio di Stato a L’Aquila non è di per sé una misura negativa per lo Stato che può accentrare o decentrare, ma proprio per la comunità di Sulmona che non può rinunciare a un simbolo di identità e di orgoglio cittadino. Perché i simboli e la consapevolezza delle proprie tradizioni sono fondamentali per una città, che non voglia essere sottomessa, e rivendichi la propria storia.

L’Archivio di Stato di Sulmona non importa per ciò che serve, ma per ciò che rappresenta. La rinuncia corrisponde a un arretramento di posizioni, non soltanto per i problemi sollevati dagli operatori culturali, che si vedrebbero privati di funzioni e perfino della presenza di un archivista, ma per dignità storica e culturale di Sulmona. La battaglia oggi è soprattutto politica, per non cedere alle prepotenze ministeriali indifferenti al destino di Sulmona.

L’amministrazione comunale ha il dovere di intervenire non per l’Archivio di Stato, ma per la difesa della Città, di cui l’Archivio è il simbolo più alto. L’Archivio a di Stato di Sulmona è la sintesi della sua storia che, a partire dal medioevo, si inoltra in una serie di dignità civili e religiose che fanno di lei una distinta capitale.

Federico II, per primo, promosse la città a capitale e sede della curia di una delle grandi province in cui divise la parte continentale del regno. Sulmona fu sede del giustizierato e di uno studio di diritto canonico importante come quello di Napoli. Rivelatrice, inoltre, la disposizione per cui delle sette fiere annuali che si tenevano in sette città del regno, la prima si svolgesse a Sulmona (“primae nundinae erunt apud Sulmonam“),dal 23 aprile all’8 maggio. Alla fine del XIII secolo, Sulmona visse la vicenda del papa dimissionario fra’ Pietro da Morrone, Celestino V (in foto nel tondo).

Oltre alla vicenda più nota bisogna ricordare l’istituzione a Sulmona della congregazione monastica degli eremiti di San Damiano, poi detti Celestini. Nel XIV secolo Sulmona ebbe una propria Zecca e batté monete che recavano sul dritto le iniziali del motto ovidiano S M P E (Sulmo mihi patria est, mentre sul rovescio portavano l’immagine di Pietro da Morrone in abiti papali.

Nel Rinascimento la città cresce con il suo monumento simbolo, il palazzo dell’Annunziata. Nasce la Scuola Orafa Sulmonese, con il marchio SUL. Si sviluppano l’industria della carta e il mercato di stoffe preziose (la seta sermontina). Alla fine del secolo, infine, fu introdotta l’arte della stampa, grazie a Ercole Ciofano, editore delle opere di Ovidio. Di tutto questo danno conto i documenti dell’Archivio di Stato. La chiusura dell’Archivio di Stato ha un significato profondamente negativo, e un precedente terribile che non è consentito riprodurre.

Fu già soppresso dal regime fascista per vendicarsi di una rivolta popolare del 1929. E la sua riabilitazione nel dopoguerra ebbe il significato, irrinunciabile oggi come allora, di simbolo di orgoglio e di libertà. La sua sottrazione è una umiliazione che la città di Sulmona non può sopportare, nella sua stessa costituzione democratica.

Non si può accettare una tale violenza come ennesima misura di imposizione dall’alto sulla vita dei cittadini, nella loro vita e anche nella loro storia, mentre si attende e persegue una indifferibile Rinascita. Viva il Rinascimento di Sulmona!


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