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POTENZA – Tra i satelliti dell’affollata costellazione degli enti strumentali della Regione, meglio conosciuti come carrozzoni pubblici, Sviluppo Basilicata rappresenta uno dei pezzi più importanti, ma anche dalle maggiori contraddizioni. Parliamo della società in house che per conto dell’ente di viale Verrastro (suo socio unico) per mission si occupa dello sviluppo d’imprese e del territorio. Erede di Sviluppo Italia, è stata acquistata dalla Regione, che nel 2009, per la cifra di oltre due milioni di euro, ha deciso di acquistarne  le competenze, ma soprattutto le pesanti perdite. I bilanci della Spa sono stati per anni in profondo rosso e solo da qualche tempo pare sia stato raggiunto il pareggio. Grazie anche “mamma Regione” che, come da copione, è intervenuta con importanti trasferimenti a tappare i buchi. A tutti gli effetti Sviluppo Basilicata è il braccio operativo dell’ente, che fa da intermediario con le imprese, soprattutto nel settore della intermediazione finanziaria, a sostegno delle imprese. E come tale   sarebbe tenuta  a comportarsi proprio come una pubblica amministrazione. Certo, per esserlo davvero, dovrà impegnarsi ancora molto, almeno in fatto di trasparenza. Per capirci, basta dare un’occhiata a criteri e modalità di selezione per nuove figure professionali per concludere che l’obiettivo è ancora lontano. Ma Sviluppo Basilicata – ambigua già nel suo statuto, prevedendo la doppia formula societaria (amministratore unico o Cda) – pure se tra le contraddizioni continua a svolgere un ruolo importante per l’economia lucana. Di fatto gestisce i bandi rivolti alle piccole e medie imprese che danno accesso, per esempio, ai contributi europei ma anche quelli finanziati dalle risorse derivanti del petrolio. Con specifiche convenzioni, la Regione –  senza la necessità di procedere con gara pubblica data la natura di società in house – affida a SB tutte le attività connesse al bando. E per farlo Sviluppo Basilicata opera, e La Regione paga per  coprire i cosiddetti costi interni della struttura, ovvero di personale, spese di missione e di comunicazione. Spesso si tratta di somme sostanziose.

Una delle più recenti determine dirigenziali – per passare agli esempi – che affida a Sviluppo Basilicata la gestione delle attività connesse a due avvisi pubblici del Po Val d’Agri (Creazione di attività imprenditoriali” e “Delocalizzazione e ammodernamento Pmi esistenti)  impegna ben 245.300 euro. E’ pur vero che l’avviso ha una durata di cinque anni, ma se si guarda il dettaglio delle previsioni di spese fatta presentato da Sviluppo Basilicata se ne ricava che quasi tutta la somma verrà utilizzata per pagare le figure professionali impegnate sui due avvisi. Nella società in house della Regione, oltre all’amministratore unico e al direttore, anche quello amministrativo e dirigenti di vari settori arrivano a guadagnare 500 euro al giorno. Il compenso più basso è quello da 300 euro al giorno. In tutto sono 13 i professionisti impegnati sul primo avviso pubblico per complessivi 115.150 euro. Quattordici, invece, per complessivi 130.150  euro impegnati per il secondo avviso che stanzia in tutto a favore delle aziende 2 milioni di euro.             

E scorrendo le convenzioni precedenti tra Regione e Sviluppo Basilicata si vede come le cifre non cambiano di molto. La gestione della procedura valutativa a sportello per la concessione di agevolazioni per lo sviluppo e l’innovazione dell Pmi era costata in tutto, sempre come spese del personale interno, 265.770 euro. Tra cui 15 mila per missioni. Mentre per la gestione del fondo di garanzia per gli investimenti, Sviluppo Basilicata dei complessivi 350 mila euro di spese era riuscita a prevedere ben 27 mila euro per costi derivanti dalla partecipazione ad incontri operativi con referenti della regione. Certo, da allora, il modo di rendicontare le previsione si spesa è cambiato molto, visto che  nella nuova determinazione dirigenziale non appaiano più queste voci “bizzarre”.  Ma se la figura meno “alta in grado” riesce a portare a casa 300 euro per una giornata di lavoro, c’è da concludere che la società in house, più che quello delle aziende, fa il bene dei suoi.

m.labanca@luedi.it

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