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Un detenuto in carcere

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Sarà sempre poco quello che si riuscirà a fare in Occidente per Zaki, il giovane egiziano che da innocente marcisce nelle galere di regime da un anno e mezzo. Le distanze sono annullate e Zaki è diventato il nostro “prossimo”. Quindi, è sacrosanto lo sdegno per quelle manette strette ai polsi d’un ragazzo che non ha mai fatto uso di violenza. Manette barbariche con cui il regime di Al Sisi vuole umiliare la dignità d’un giovane e intimorire i cittadini indifesi. Ma ovunque le manette, quando non sono strettamente necessarie, rappresentano un simbolo di barbarie soprattutto se strette ai polsi di innocenti. Anche in Calabria dove, secondo le sentenze della Corte di appello sulle ingiuste detenzioni, si fa spesso un uso smodato, ed a volte spregiudicato, della custodia cautelare e quindi dei ferrettoni ai polsi.

E se in Egitto le prigioni sono inumane in Calabria nelle galere si muore e si soffre. Spesso si diventa mafiosi e quasi mai servono a prevenire il crimine. Certo non c’è paragone che regga. In Calabria c’è il diritto alla difesa, c’è una stampa libera anche se non sempre vigile, ci sono ancora le garanzie costituzionali a tutela della libertà individuale. Eppure sarebbe da ciechi e gravido di conseguenze negare la presenza d’una “autorevole” scuola di pensiero (e non solo) che tende a scuotere il sistema dei diritti inalienabili della persona umana sin dalle fondamenta.

Tre anni fa mi ha scritto una mamma di San Luca. Il figlio ventenne era tenuto in carcere. S’è trattato di un errore di persona ma… è durato oltre un anno. Come per Zaki. Il fatto di essere nato a San Luca si è trasformato in anticamera del sospetto. Ora quel ragazzo è morto di infarto. La sua vita è stata molto breve ed a quella vita è stato tolto oltre un anno. Così nell’operazione “Stilaro” il sindaco di Camini (con tutta la giunta) è stato portato in carcere. Era un maestro elementare molto riservato che aveva fatto della dignità e dell’onore il suo patrimonio. Venne scagionato già nel corso delle indagini preliminari. È morto anche Lui… forse di crepacuore.

Potrei indicare mille nomi di innocenti incarcerati in Calabria; potrei citare cento “grandi inchieste” che si sono trasformati in clamorosi flop anche se nessuno (o quasi) sembra essersi accorto. Ora io non intendo far un processo alle inchieste che hanno scandito la storia della Calabria e neanche soffermarmi sui tanti “errori” dei magistrati o della polizia giudiziaria. Ma c’è una tendenza tutta nostra che coinvolge il mondo della politica, degli intellettuali e dei giornalisti ed è quella di guardare e scandalizzarci per quanto succede fuori della Calabria ma sorvolare con indulgenza estrema su quanto di grave in tema di diritti umani succede nella nostra Regione. Quasi che in nome della “lotta alla ‘ndrangheta” tutto possa essere consentito.

Un tale atteggiamento ipocrita e fariseo contrasta e confligge con la solidarietà a Zaki che, come abbiamo detto all’inizio, è diventato il “nostro prossimo”. Proprio per questo anche i due morti di recente nelle carceri calabresi sono il “nostro prossimo” così come lo sono i tantissimi innocenti senza nome, finiti nelle carceri e considerati effetti collaterali di scarso valore d’una presunta guerra che si starebbe combattendo con risultati discutibili.

È facile insultare Al Sizi, diventa difficile confrontarsi con chi detiene tanta parte del potere nella nostra regione. Zaki è diventato un simbolo. Il suo corpo sofferente è diventato, in qualche misura, anche il nostro corpo. Le prigioni ed i tribunali egiziani sono diventati, ai nostri occhi, luoghi in cui non si ha alcun rispetto per l’integrità (non solo fisica) della persona umana. Il governo di Al Sisi simbolo di tirannia. Ma forse non c’è modo migliore per essere solidali con Zaki e con il popolo egiziano di quello di battersi per preservare le libertà e le garanzie costituzionali nella nostra Terra.

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