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Correva l’anno 2020, era il mese di aprile e a Bruxelles c’erano riunioni interessanti tutte propedeutiche alla definizione di quel programma che oggi chiamiamo Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza. Se leggiamo gli atti degli incontri sia di aprile che di maggio scopriamo una serie di apprezzabili raccomandazioni che alti funzionari della Unione Europea rivolgevano ai nostri Ministri e, in alcuni casi addirittura, all’allora Presidente del Consiglio Conte. La raccomandazione di base era che il PNRR doveva avere, per quanto concerne la sua attuazione, un preciso e definito arco temporale e che, stimando in un anno il tempo necessario per la messa a punto delle riforme, il periodo di attuazione organica e concreta non doveva superare un quinquennio. Dopo una serie di riunioni anche accese si decise che la scadenza finale dell’intero Piano doveva avvenire entro il 31 dicembre del 2026.

Ma a questa scadenza si aggiunsero una serie di raccomandazioni che ritengo utile, per le cose che dirò dopo, riportare di seguito:

  1. Sarà necessario, soprattutto per il comparto delle infrastrutture, dare immediata conclusione al lavoro relativo al nuovo Codice Appalti, non solo nello snellimento delle procedure, non solo nel contenimento dei tempi autorizzativi, ma soprattutto nella disponibilità di nuovi strumenti come il Partenariato Pubblico Privati, il Canone di disponibilità, ecc.
  2. Le proposte progettuali devono essere caratterizzate da un’ampia organicità e funzionalità, cioè non lotti di opere, non tratte parzialmente utili per limitati ambiti territoriali
  3. L’intero Piano ed in modo particolare le proposte presenti nel comparto delle infrastrutture dovranno rispondere ad un preciso codice comportamentale: essere significativamente organiche, cioè le reti ferroviarie e stradali dovranno essere interconnesse con HUB logistici (porti, interporti ed aeroporti) funzionali alla crescita ed allo sviluppo della domanda
  4. Preso atto dei tempi limitati sarà bene inserire proposte progettuali già supportate da progetti di fattibilità e su cui sono in corso o sono già disponibili apposite Valutazioni Ambientali Strategiche.

Nel mese di giugno 2020 si definì una prima bozza di PNRR con un elenco di opere che sono più o meno rimaste le stesse. Il Commissario europeo Gentiloni, conoscendo l’elenco di possibili opere e con la sua esperienza di Ministro degli Esteri, di Presidente del Consiglio e di Assessore al Comune di Roma e quindi consapevole delle nostre inerzie procedurali, si preoccupò subito del rischio della reale attuazione di un simile Piano entro la fine del 2026 ed in particolare, convinto che si sarebbero potute rispettare tali scadenze solo per le opere già in avanzata fase di realizzazione, nell’autunno del 2020 venne in Italia e nel Parlamento italiano tenne un vero seminario alle Commissioni competenti della Camera e del Senato e, non allego il suo intervento perché abbastanza lungo, disse chiaramente come la Unione Europea voleva che si costruisse il PNRR e ribadì ancora una volta la importanza di tre componenti:

  • La organicità delle proposte
  • La realizzazione di opere complete e non di lotti
  • L’urgenza di disporre di progetti di fattibilità supportati da valutazione ambientale strategica.

Ebbene, sarebbe per me facile prendere in esame le varie proposte infrastrutturali presenti nel PNRR per dimostrare la sostanziale distanza dalla serie di raccomandazioni della Unione Europea, ma ritengo più utile e incisivo prendere come esempio lo stato di avanzamento di un’opera che penso testimoni, in modo chiaro, il rischio reale che, come accennato in un ultimo mio intervento, la Unione Europea non annulli tali risorse ma ci consenta di trasferirle ad altre finalità quali l’attuazione di un Piano energetico nazionale. Il progetto che ho preso come esempio è quello relativo al nuovo collegamento ferroviario ad alta velocità Roma – Pescara.

La storia del progetto ferroviario ad alta velocità Roma – Pescara di cui il PNRR assegna un contributo per la realizzazione di un primo lotto funzionale di circa 600 milioni su un valore globale dell’opera di circa 6,5 miliardi di euro; è davvero emblematico di quanto sia praticamente impossibile, nel nostro Paese, passare da una intuizione progettuale ad un’opera concreta, quanto sia difficile passare dal progetto al cantiere. Infatti era pronto lo studio di fattibilità ed era anche definito un apposito cronoprogramma quando il Senatore D’Alfonso, Presidente della Commissione Finanze del Senato ed ex Presidente della Regione Abruzzo, ha fatto presente che va cambiato il tracciato ed ha precisato: “Le opere pubbliche importanti hanno bisogno del consenso locale, l’articolo 117 comma 3 della Costituzione dice che i tracciati delle grandi opere ferroviarie e di comunicazione sono definite dalle Regioni con atti formali o da intese Regioni – Governo.

A decidere il tracciato devono essere Abruzzo e Lazio. Non è possibile che scelte di questo tipo arrivino da Roma” ed il Presidente D’Alfonso ha prospettato anche un dettagliato itinerario operativo: “facciamo in modo che Abruzzo e Lazio attivino comunicazioni con delibere di giunta, attraverso documenti dei Consigli regionali, leggi regionali se necessarie. Gli Enti locali si sono già messi all’opera perché il percorso ferroviario sia valido e validato. Il dibattito pubblico a Pescara ha individuato problemi e delineato soluzioni. Qualora non si dovesse arrivare ad un accordo – precisa sempre il senatore D’Alfonso – c’è un’ultima chance: una riunione del Consiglio dei Ministri, partecipata dalle Regioni per trovare una soluzione finale. Adesso l’importante è avere un atteggiamento propositivo non rinunciatario”.

Avendo vissuto una esperienza non facile nel lontano 1992 con l’approvazione del tracciato dell’Alta Velocità, avendo dovuto sostenere oltre 90 Conferenze dei Servizi con la partecipazione di oltre 142 comuni (ricordo all’epoca le Conferenze si ritenevano concluse solo alla unanimità), comprendo benissimo le dichiarazioni del Senatore D’Alfonso e temo anche che, rimanendo solo a disposizione poco più di quattro anni, sarà difficile evitare il trasferimento di tali risorse in altre finalità. Tuttavia ho voluto prendere questa opera come esempio non solo per l’allungamento dei tempi legato a vincoli territoriali quanto per la mancata coerenza dell’intervento alla volontà comunitaria: parte infatti solo un lotto e non si completa un’opera organica.

Nasce spontanea una domanda: ma il ponte sullo Stretto era un’opera organica? La risposta è sì; era un’opera pronta per essere cantierata? La risposta è sì. Gli italiani non si meraviglieranno di simili incongruenze perché abituati, il contesto comunitario invece misurerà ancora una volta la nostra capacità a superare le emergenze (vedi il viadotto di Genova) ma, al tempo steso, la nostra incapacità a dare attuazione a scelte programmatiche rientranti nella normalità.


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