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Ossidi di terre rare

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FORSE per molti sarà una sorpresa ma in Italia, che secondo un luogo comune sempreverde sarebbe privo di risorse naturali (mentre è esattamente il contrario e soprattutto è storicamente caratterizzato da competenze, conoscenze e strumenti utili a sfruttarle al meglio ed a utilizzarle il più efficacemente possibile), sono presenti alcuni dei più grandi bacini al mondo di Antimonio e Titanio, due minerali: il primo in Toscana (ma è presente anche in Lombardia, Piemonte, Sardegna e Trentino Alto Adige) il secondo in Liguria.

L’Antimonio e il Titanio, per le loro caratteristiche, sono due metalli fondamentali per l’industria tecnologica. Vengono utilizzati, il primo, negli smartphone e nei pannelli solari, per produrre leghe con piombo, stagno, rame per colate di precisione e per dispositivi a infrarossi ed effetto Hall, il secondo, nell’automotive, in aeronautica, nautica, alimentare, cosmetica, architettura, biomedicale. Ma, paradossalmente, non vengono sfruttati. “Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori” dice Mattia Pellegrini, il capo dell’unità Economia circolare della Direzione generale Ambiente della Commissione europea.

Quelli presenti in Toscana e in Liguria sono i più grandi bacini europei, e i secondi a livello mondiale di Antimonio e Titanio, che non vengono estratti. In compenso questi elementi vengono importati dall’estero e pagati pure a caro prezzo. Cento grammi di polvere di Antimonio costano 4,03 euro, un kg 38,16 euro. Un kg di Titanio costa 200 euro. “Nel 2011 – spiega Pellegrini – abbiamo pubblicato una lista delle materie da cui dipendiamo per tutte le tecnologie e alcune di queste le importiamo al 100%”.

Nonostante le grandi ricchezze presenti nel sottosuolo, sia a livello di esplorazione che di estrazione, l’Italia rappresenta il fanalino di coda in Europa. Cosa sono le Terre Rare? Il termine deriva dai minerali dai quali vennero isolati per la prima volta, che erano ossidi non comuni trovati nella gadolinite, che è un materiale incandescente, estratta da una miniera nel villaggio di Ytterby in Svezia. Sono 17 in tutto ed hanno nomi difficili da pronunciare: ad esempio Scandio, Ittrio, Lantanio, Praseodimio. Oggi occupano un posto particolare nei calcoli e nelle preoccupazioni strategiche degli Stati. Sono considerate alla stessa stregua di “vitamine” delle società e industrie moderne del XXI secolo, essendo componenti vitali in molti prodotti, da quelli tecnologici (smartphone e monitor) a quelli per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e macchine elettriche) fino al settore militare (laser, radar). La difficoltà di sostituirle con altri materiali rende ancora più strategici questi minerali.

In realtà questi elementi non sono poi così rari: il Cerio, ad esempio, è più abbondante del Rame e vi sono depositi in molte parti del mondo. Ciò che li rende particolarmente “rari” piuttosto è la scarsità di concentrazione: non sono presenti puri, in natura, ma legati ad altri tipi di materiali. L’Italia consuma 800 tonnellate di Terre Rare ogni anno, ma se consideriamo tutti i prodotti acquistati finiti, dalle automobili ai computer, a questo numero bisogna aggiungere altre 8.000 tonnellate complessive 8.800 tonnellate l’anno. Il consumo interno potrebbe essere sostenuto dal trattamento dei Rifiuti da apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). Ma una potenziale risorsa di materie prime pregiate per lo sviluppo industriale non solo non viene riciclata, ma spesso diventa un costo. Attualmente, il recupero dei materiali preziosi impiegati, per esempio, nella produzione dei telefoni cellulari consentirebbe di raccogliere  questi minerali per un valore di mercato di 150 milioni di euro.

Oggi il numero di apparecchi riciclati si ferma a mezzo milione di pezzi (contro i 70 milioni di dispositivi venduti nel 2021) per un recupero di appena 2 milioni di euro.  Senza contare che nella batteria di una automobile ibrida ci sono circa 10 kg di Lantanio; il magnete di una grande turbina eolica può contenere 260 kg o più di Neodimio; la marmitta catalitica di un’auto contiene Cerio e Lantanio. L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile (Enea) ha messo a punto un brevetto per estrarre materiali preziosi (oro, argento e platino) e materie prime strategiche da Rifiuti da apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). Questo processo hi tech risponde all’esigenza di riutilizzarli per produrre nuovi prodotti quali telefoni cellulari, cavi di fibre ottiche, celle fotovoltaiche, turbine eoliche, rivelatori all’infrarosso, leghe leggere in alluminio. L’Enea  è il polo europeo per il Sud Europa per la ricerca sulle materie prime strategiche, con l’obiettivo di far fronte a una domanda in forte crescita, a fronte di un’offerta  concentrata in pochi Paesi e a un basso grado di sostituibilità e di riciclaggio. Attualmente solo il 30% dei circa 10 milioni di tonnellate di RAEE  prodotti in Europa viene gestito correttamente, mentre con adeguate procedure di raccolta e di riciclo si potrebbero recuperare 186 tonnellate di argento, 24 di oro e 7,7 di platino.

La scarsa disponibilità di  Terre Rare  e la dipendenza dalla Cina hanno spinto anche in Italia alcune Università e alcuni gruppi industriali ad intraprendere due linee di attività: la sostituzione delle  Terre Rare  (essendo quasi tutte classificate come tossiche o, nel caso del Promezio, radioattive) con altri metalli o il migliore ciclo di utilizzo nel processo produttivo; il recupero delle  Terre Rare  dai  RAEE. Pur essendo un mercato dai volumi ridotti,  chi detiene una posizione di dominio potrebbe giovarsi di importanti leve geopolitiche e negoziali nei confronti di altri Paesi, vista la loro rilevanza in diversi settori – chiave. Dal punto di vista della distribuzione mondiale, fino al  1948 la maggior parte provenivano dai depositi di sabbia indiani e brasiliani. Durante gli  anni Cinquanta, il Sudafrica divenne la principale fonte. Furono scoperti anche notevoli giacimenti a Mountain Pass in California che tra il 1965 e il 1985 divennero i più produttivi al mondo. Dopo il  1985 si impose sempre maggiormente la Cina che produce il 60% delle Terre Rare mondiali, oltre a processarne e raffinarne circa l’80%, garantendosi così un ruolo centrale nella  supply chain  mondiale. Ciò comporta una dipendenza eccessiva delle maggiori economie mondiali dalle importazioni cinesi: rispettivamente l’80% e il 98% delle importazioni di USA e Unione Europea provengono dalla Cina.

La preoccupazione di vedere ridotte o addirittura interrotte le importazioni, che potrebbero severamente danneggiare le economie, le industrie e i piani di decarbonizzazione, induce i  Paesi a cercare alternative produttive. Queste preoccupazioni sono emerse chiaramente nel 2010, quando Pechino decise di bloccare le esportazioni verso il Giappone a causa di motivi politici. Quell’anno si stimava che il 97% delle Terre Rare mondiali provenissero dalla Cina. Il crescente scontro geopolitico tra Stati Uniti e Cina intensifica le tensioni e le preoccupazioni.  In diverse occasioni la Cina ha minacciato di ridurre o vietare le esportazioni di alcuni di questi minerali verso gli Usa e questo contribuisce a spingere i Paesi alla ricerca di nuovi centri di produzione, onde ridurre il dominio cinese, processo avviato dopo il 2010. In questo contesto l’Africa potrebbe emergere come un nuovo polo produttivo dando avvio ad una nuova competizione nel continente tra i principali attori mondiali: Cina, Usa, Russia, Australia, Giappone e UE. Infatti, in Africa vi sono diversi depositi di Terre Rare, in particolare nei Paesi dell’Africa orientale e meridionale: Sudafrica, Madagascar, Malawi, Kenya, Namibia, Mozambico, Tanzania, Zambia e Burundi. Tuttavia, attualmente l’Africa rappresenta solo una potenzialità. L’unico progetto in funzione è quello di Gakara in Burundi, mentre il deposito Steenkampskraal in Sudafrica potrebbe essere operativo a breve.


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