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Il tribunale di Matera

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Nomina presidente del tribunale penale di Matera: è scontro, Disabato contesta i requisiti della barese Civitano e ricorre al Tar

POTENZA – Sarà il Tar del Lazio a decidere sulla nomina del nuovo presidente della sezione penale del Tribunale di Matera. Nei giorni scorsi, infatti, il giudice materano Giuseppe Disabato, originario di Montescaglioso e in servizio da diversi anni nella città dei Sassi, ha presentato ricorso ai giudici amministrativi. Disabato contesta la designazione decisa a gennaio dal plenum del Csm della collega barese Chiara Civitano. Il magistrato pugliese era sostenuta dal consigliere laico di Forza Italia, Alessio Lanzi, e dalla togata della corrente di sinistra di Area, Alessandra Dal Moro. Decisione assunta a scapito dello stesso Disabato, sostenuto dal togato di Magistratura indipendente Antonio D’Amato, e di quella di un altro giudice barese, Giuseppe Barese, sostenuto dal togato di Unicost Michele Ciambellini.

I TERMINI DELLO SCONTRO SULLA NOMINA AL TRIBUNALE PENALE DI MATERA

Ieri il Csm è tornato sul caso dando mandato per la costituzione in giudizio, innanzi ai magistrati del Tar del Lazio, a difesa della legittimità della nomina effettuata. Nel ricorso Disabato ha sostenuto la carenza «dei requisiti attitudinali previsti» nel curriculum di Civitano, rispetto alla «capacità organizzativo-gestionale», e all’«utilizzo delle tecnologie informatiche».

Di contro il giudice materano ha evidenziato le proprie esperienze organizzative e competenze informatiche. Stigmatizzando, inoltre, che il Csm non abbia superato con una congrua motivazione «il difetto dei ridetti requisiti attitudinali» nella scelta di Civitano.

Disabato ha anche criticato il maggior peso attribuito all’esperienza della concorrente. In quanto maturata in un ufficio giudiziario più grande come quello di Bari, equiparandola, di fatto, a un’esperienza direttiva.

«L’esercizio della funzione giurisdizionale in uffici di grandi dimensioni (…) non implica di per sé lo svolgimento (e, quindi, la maturazione) di attività di natura organizzativa e/o gestionale». Così di legge nel ricorso. «Le capacità organizzative e gestionali, quali elementi attitudinali, attengono all’esercizio di quelle funzioni (non propriamente giurisdizionali) che implicano l’applicazione delle metodologie organizzative e gestionali, funzioni, queste, il cui esercizio è attestato solo in capo al dottor Disabato e non già in capo alla controinteressata».

LE ACCUSE MOSSE DAL MAGISTRATO GIUSEPPE DISABATO

Il giudice materano ha poi contestato la minore considerazione che sarebbe stata riservata al suo servizio prestato in uffici giudiziari più piccoli. «Essendo a tale proposito, a suo avviso, “sufficiente richiamare i dati rivenienti dalle statistiche allegate alle valutazioni di professionalità del ricorrente […]”. A ciò deve aggiungersi il fatto che “a quanti […] hanno svolto proficuamente il ruolo di magistrati coordinatori è stato imposto di sperimentare e maturare il massimo in termini di capacità organizzativo-gestionale, proprio in ragione dell’articolazione delle sezioni distaccate e delle limitate risorse ad esse assegnate».

Infine ha sostenuto che «attribuendo valenza prevalente al mero dato temporale relativo all’esercizio delle funzioni nel settore oggetto di incarico verrebbe surrettiziamente introdotto un elemento selettivo, quello della mera anzianità, certamente non conforme ai principi informativi cui deve ispirarsi l’attività valutativa del C.S.M., orientata a preservare il requisito della “meritocrazia”».

Di tutt’altro avviso l’ufficio studi dell’organo di autogoverno della Magistratura. Per l’ufficio le doglianze di Disabato si tradurrebbero «in una contestazione dell’operato del Consiglio che attinge direttamente il merito della valutazione da questo compiuta». «Merito della valutazione» che sarebbe insindacabile da parte dei giudici amministrativi, tenuti ad esprimersi soltanto su eventuali vizi di legittimità degli atti impugnati.

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