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INTEGRARE i porti al Sud. In questi ultimi giorni abbiamo avuto modo di leggere su vari quotidiani nazionali e internazionali la seguente notizia: «La Commissione europea ha approvato la nascita di Ziel Terminal, la Joint venture fondata dalla società olandese Samskip (49,8%) e dalle tedesche Duisport (25,1%) e Tx Logistik (25,1%). Questa ultima è una compagnia di logistica ferroviaria ed è parte del Gruppo Ferrovie dello Stato (FS) mentre Duisport è la Società per i porti locali. Samskip è un’azienda logistica globale che offre trasporti e servizi correlati via terra, mare, ferrovia e aria. La nuova realtà ha acquistato e gestirà il terminal bimodale ferroviario – stradale situato a Duisburg (Germania). È la prima volta che il Gruppo FS entra nella gestione di un terminal merci in Europa».

LA PRIVATIZZAZIONE

È interessante leggere il Piano industriale decennale di tale polo perché da esso emergono dei dati che sono di grande rilievo strategico: raddoppio dei volumi di merci trasportate su ferro grazie a investimenti per quasi tre miliardi di euro. Ma, per le cose che dirò dopo, è importante l’approvazione da parte della Commissione europea: una approvazione che giustamente riconosce un processo di “privatizzazione” non di uno scalo merce terrestre ma, contestualmente, anche di uno scalo portuale. In realtà forse sarebbe bene ricordare che la privatizzazione che si intende operare, o meglio alcuni vorrebbero realizzare, in Italia e al Sud, non dovrebbe essere legata solo ai porti, ma a un insieme di scali logistici capaci di ottimizzare al massimo le potenzialità di un polo logistico integrato e, al tempo stesso, produrre diffuse convenienze al concedente pubblico che, allo stato, riceve dai nodi portuali solo i proventi da Iva.

Ma leggendo l’esperienza interessante del Gruppo FS non solo ci convinciamo della rilevante capacità del management delle Ferrovie dello Stato impegnato in una simile operazione, ma scopriamo anche quanto sia elevato il valore aggiunto generato da una simile scelta, sia in termini di introiti che di immagine internazionale. Ora questo misurabile successo genera automaticamente un interrogativo su cinque casi di porti al Sud in cui, purtroppo, le Ferrovie dello Stato non sono riuscite a creare le stesse condizioni di sviluppo e di crescita. Ho preso come esempi solo cinque realtà del Mezzogiorno perché, addirittura, a prima vista sembrano realtà meno convenienti in termini di domanda e di qualità del management locale.

PORTI AL SUD E CINQUE NODI DA SCIOGLIERE

Ebbene, le cinque realtà prese in considerazione al Sud sono:

  • Il nodo logistico di Bari, composto dai porti di Bari, Brindisi, Taranto e dai nodi interportuali di Bari Lamasinata, Francavilla Fontana e Surbo.
  • Il nodo logistico di Gioia Tauro, composto dai porti di Gioia Tauro, Reggio Calabria e le aree di aggregazione produttiva di Corigliano, Rossano e Castrovillari.
  • Il nodo logistico di Nola Marcianise, composto dai tre interporti di Nola, di Marcianise, Battipaglia e dai porti di Napoli e di Salerno.
  • Il nodo logistico di Termini Imerese, composto dall’interporto di Termini Imerese e dai porti di Palermo e di Termini Imerese
  • Il nodo logistico di Catania Bicocca, composto dall’interporto di Catania Bicocca, dai porti di Catania e Augusta e dalle aree di aggregazione produttiva di Vittoria e di Pachino.

Ci chiediamo, cioè perché l’esperienza fatta in Germania non sia stato possibile attuarla anche in tali cinque realtà. Se entriamo all’interno di ogni sito logistico o, meglio, di ogni sistema logistico, scopriamo che non stiamo togliendo in alcun modo allo Stato il ruolo di soggetto “proprietario”, di soggetto “decisore” delle evoluzioni di un contesto logistico, di un contesto fatto non solo di un impianto portuale, ma di una sommatoria di realtà in cui gli interessi del settore pubblico e quelli del settore privato producano solamente delle convenienze dirette e indirette per tutti coloro che gestiscono l’impianto logistico.

Quindi, il primo chiarimento è da ricercarsi proprio nel fatto che la paura che prenda corpo un azzeramento del ruolo istituzionale dello Stato nel controllo pianificatorio di un nodo logistico non solo non esiste ma, addirittura, fa nascere spontanea una domanda: perché non è stata cercata e definita subito la costruzione di un organismo societario preposto non alla isolata gestione di un porto, ma alla articolata e sinergica azione mirata alla ottimizzazione dei processi gestionali dei porti, degli interporti e delle aree di aggregazione delle merci? D’altra parte nel 1994, con la legge 84 (la legge che in modo organico tentò di disciplinare l’ordinamento e le attività portuali per adeguarli agli obiettivi del Piano generale dei trasporti) si è cercato, in tutti i modi, senza però darne reale operatività, all’autonomia finanziaria dei singoli soggetti preposti alla gestione dei vari impianti, e in particolare al comma 1 e al comma 5 dell’articolo 18 bis si legge: ARTICOLO 18-BIS (Autonomia finanziaria delle Autorità di sistema portuale e Finanziamento della realizzazione di opere nei porti)

  • 1) Al fine di agevolare la realizzazione delle opere previste nei rispettivi piani regolatori portuali e nei piani operativi triennali e per il potenziamento della rete infrastrutturale e dei servizi nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari nei porti e gli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali, è istituito, nello stato di previsione del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, un fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti alimentato su base annua, in misura pari all’1% dell’imposta sul valore aggiunto dovuta sull’importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nel limite di 90 milioni di euro annui.
  • 5) Per la realizzazione delle opere e degli interventi di cui al comma 1, le Autorità di sistema portuale possono, in ogni caso, fare ricorso a forme di compartecipazione del capitale privato, secondo la disciplina della tecnica di finanza di progetto di cui all’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n° 163 e successive modifiche e integrazioni, stipulando contratti di finanziamento a medio e lungo termine con istituti di credito nazionali e internazionali abilitati, inclusa la Cassa depositi e prestiti Spa.

VIETATO RITARDARE

La riforma potrebbe partire proprio dai due commi di questo articolo di legge e rendere così possibile un’azione organica di riforma non di una realtà portuale, ma di un insieme di nodi logistici fra loro integrati e interagenti. Cerchiamo di non ritardare ulteriormente quel giorno in cui non parleremo più di “porti”, di “interporti”, di “stazioni ferroviarie intermodali”, ecc. ma di impianti logistici gestiti in modo tale da riuscire a ottimizzare le convenienze di tutti gli operatori, pubblici e privati, preposti alla loro gestione. Ritardare un simile momento riformatore significa regalare la ricchezza prodotta dalla “logistica” a chi da anni continua a decidere il futuro dei singoli siti strategici: mi riferisco alle società multinazionali operanti nella logistica, specializzate, tra l’altro, nella gestione di navi container, che da ormai molto tempo decidono la crescita o la decrescita della nostra offerta di porti e interporti soprattutto al Sud.


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