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Il 4 novembre del 1918 la fine delle ostilità sul fronte italiano, furono oltre 650mila i caduti, nella Grande Guerra si distinsero i fanti calabresi

CENTOCINQUE anni sono passati dalla fine del primo conflitto mondiale. Con il solenne bollettino di Vittorio Veneto del 4 novembre del 1918 il generale Armando Diaz annunciava la fine delle ostilità. «L’orrenda carneficina», così ribattezzata dal pontefice Benedetto XV, costò all’Italia oltre 650.000 morti e 700.000 tra invalidi e mutilati. Ma non esistono statistiche e documenti per descrivere il ricordo dell’orrore con cui milioni di reduci dovettero convivere per tutta la vita.

La guerra coinvolse tutte le regioni della penisola. Grazie ai centri di mobilitazione, composti dai distretti militari e dai depositi di leva, ingrossarono le fila dei vari reggimenti. La fanteria fu l’Arma dell’esercito che ebbe il maggior numero di componenti e di caduti in battaglia. Presenti in Calabria alcuni reparti di esercito permanente. In particolare, il 19° reggimento Fanteria Brescia a Cosenza, il 20° Brescia a Reggio Calabria e il 48° Ferrara a Catanzaro.

Con lo scoppio della guerra da questi reparti si formarono nuovi reggimenti che combatterono in prima linea. Tra questi il 96° Udine, il 141° Catanzaro e il 221° Jonio dal deposito di Catanzaro, il 142° Catanzaro e il 222° Jonio dal deposito di Cosenza e il 246° Siracusa da Reggio. Occorre sottolineare che la presenza di soldati calabresi fu spalmata diversi reparti, non solo quelli di naturale destinazione. Secondo alcuni studi, la Calabria, nel rapporto tra mobilitati effettivi e potenziali, fu la regione più “generosa” con il numero minore di esentati ed esonerati, seconda solo all’Abruzzo. Basilicata, Sardegna e Calabria risultano essere le regioni che, in rapporto alle truppe mobilitate, hanno registrato il maggior numero di morti nel conflitto bellico.

I NUOVI REGGIMENTI DELLA BRIGATA CATANZARO

Nell’imminenza della guerra nacquero il 141° e 142° reggimento della Brigata Catanzaro inquadrata nella Terza Armata meglio nota come l’Armata del Carso. Nel 1916 al 141° reggimento della brigata (composto in gran parte da calabresi provenienti dalle province di Catanzaro e Reggio Calabria dell’epoca) fu concessa la medaglia d’oro al valor militare per lo straordinario coraggio dimostrato sul campo di battaglia.

Tra le fila del 142° – il centro di mobilitazione era Cosenza con distaccamenti a Castrovillari, Rende, Paola, Dipignano e Rossano – la cui bandiera ricevette la medaglia d’argento al valor militare, figurava il sottotenente Gaetano Aliberti nato a Mormanno in provincia di Cosenza decorato medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Il 29 maggio del 1916 con un brillante contrattacco delle fanterie del 141° reggimento (Brigata Catanzaro) liberò due batterie rimaste circondate sul Monte Mosciagh, portandone completamente in salvo i pezzi. La stampa nazionale dell’epoca riprese la vicenda tanto da meritare la prima pagina sulla Domenica del Corriere con un’illustrazione di Achille Beltrame. Da questo episodio il 141° ne trasse quello che da allora fu il suo motto: «Su Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone». Dall’altra parte della trincea le truppe austriache avevano ormai imparato a temere e ad ammirare i fanti calabresi.

LA GRANDE GUERRA DEI FANTI CALABRESI: RIVOLTA DELLA BRIGATA CATANZARO

La Brigata Catanzaro fu protagonista di un episodio che offre un inquietante spaccato sulla crudeltà e sull’assurdità della guerra. Il 15 luglio 1917 dopo un estenuante periodo in trincea, i militi, esausti e logorati da furiose battaglie e numerose privazioni, ebbero finalmente diritto a un turno di riposo e ad essere trasferiti su un altro fronte. Tuttavia dopo pochi giorni giunse un fonogramma del comando italiano che li richiamava in prima linea. La notizia scatenò una rivolta armata che culminò con la decimazione del reggimento. Un odioso ed estremo strumento di disciplina militare (avallato anche dallo stesso comandante della Terza Armata il duca Emanuele Filiberto D’Aosta, cugino del re Vittorio Emanuele III) che comportava la fucilazione di un soldato ogni dieci in caso di ammutinamento.

I soldati ribelli si impossessarono di alcune mitragliatrici. Solo l’intervento di ingenti forze, carabinieri, cavalleggeri e una sezione d’artiglieria mobile, riportarono l’ordine al mattino, arrestando i facinorosi. Negli scontri per sedare il tumulto furono diversi i morti e i feriti. Durante la rivolta alcuni soldati spararono contro la villa della famiglia Colloredo, che abitualmente ospitava Gabriele D’Annunzio, in quel momento assente poiché presso un campo d’aviazione per preparare una nuova missione. La mattina successiva, 28 soldati, di cui 12 sorteggiati all’interno della 6ª compagnia del 142°, furono fucilati contro il muro del cimitero.

L’OMAGGIO DEL DUCA D’AOSTA

Nel gennaio 1917 furono creati il 243° e 244° reggimento della Brigata Cosenza che nel giugno 1918 in soli tre giorni di battaglia sul Piave perse 2565 uomini tra morti e feriti, riuscendo tuttavia a sbarrare il passo al «soverchiante nemico» e fregiandosi della medaglia d’argento al valor militare. Tanti i giovani costretti, loro malgrado, a confrontarsi con le atrocità e le contraddizioni di una guerra combattuta al nord ma che vide protagonista tanta gente del sud. Il duca invitto Emanuele Filiberto D’Aosta, ricordando lo spirito dei fanti calabresi ebbe a dire: «Ho sempre nel cuore queste legioni di prodi che dalla terra di Calabria trassero la tenacia e l’anima pugnace».

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