X
<
>

I cartelli e i fiori davanti alla Trinità dopo il ritrovamento di Elisa

Condividi:
3 minuti per la lettura

GLI esponenti della chiesa farebbero probabilmente meglio a non intervenire sulla vicenda di Elisa Claps. In fondo l’attitudine al silenzio – non nel senso di omertà ma di capacità introspettiva – dovrebbe appartenere al patrimonio immateriale ecclesiastico da qualche millennio.
E invece un’altra volta un vescovo ha parlato e si è attirato gli strali di una comunità. Dire che la chiesa della Ss. Trinità dovrà riaprire al culto, alla vigilia dell’anniversario della scoperta del corpo di Elisa in chiesa, è sembrato nel migliore dei casi una disattenzione grave, nel peggiore una provocazione.
Pensare che un vescovo di esperienza come Salvatore Ligorio abbia voluto provocare è assurdo. D’altronde, la polemica non è montata fino a quando Gildo, il fratello di Elisa, non ha fatto sapere che da parte della famiglia Claps non c’è alcuna condivisione dell’idea di riaprire al culto, come invece aveva dichiarato il presule nel comunicato.

A quel punto, la comunità ha cominciato subito a ribollire ed è saltato il coperchio. Accadde lo stesso – mutatis mutandis – con il vescovo Agostino Superbo quando fu intercettato dai cronisti per la strada insieme a un legale e si premurò di rassicurare la città che la Trinità avrebbe riaperto presto, quando uscì fuori la questione del tragico equivoco fra le parole “cranio” e “ucraino” eccetera. A ogni dichiarazione sull’argomento, l’inferno.
Questa volta c’è qualcosa di diverso, e si riferisce proprio a un sacramento della chiesa.

Ligorio – stando alla dichiarazione di Gildo Claps – avrebbe non solo stravolto ma prima ancora riportato all’attenzione pubblica una conversazione privata, che uno dei due interlocutori (e cioè la madre di Elisa, Filomena Iemma) sperava rimanesse tale.
Qual è la prima cosa che viene in mente a un cattolico ascoltando questa vicenda? Semplice: la confessione. Quella parte del sacramento della penitenza in cui un fedele riferisce al sacerdote fatti privatissimi (i propri peccati, anche se non è questo il caso).

Il confessore, per la legge italiana, gode di una speciale esenzione davanti a un tribunale: il magistrato non può chiedergli cosa abbia ascoltato dal confessato perché coperto dal “segreto confessionale”. Se a rifiutare di rispondere fosse un ingegnere o un manager o un ciabattino, sarebbero perseguibili penalmente. Un sacerdote (come un medico o un giornalista), no.
Ammettiamo per un momento – solo per estremizzare il ragionamento – che la mamma di Elisa Claps abbia davvero detto al vescovo: «Sì, non ho nulla in contrario alla riapertura della Trinità». Perché scriverlo su un comunicato? Dov’è in tutto ciò la figura del pastore che ai fedeli dà ascolto e protezione, non visibilità? La civiltà dei social, la voglia di rendere pubblico tutto e subito, ha intaccato anche le tradizioni secolari della chiesa?

Certo, nella vicenda specifica non ci sono peccati confessati davanti a Dio per il tramite di un sacerdote perché non c’è una confessione. Ma la ricorda da vicino.
In questo caso l’abitudine al silenzio, alla riservatezza, al tatto che caratterizza la chiesa da sempre non sembra aver guidato la diocesi.
Tanto da far dire a Gildo Claps: «Ritengo una scelta di pessimo gusto riportare la telefonata tra il Vescovo Ligorio e mia madre in cui si lascia intendere che la famiglia abbia espresso piena condivisone nella scelta di riaprire la Chiesa al culto al termine dei lavori stessi» per poi aggiungere appunto che la signora Filomena riteneva «la telefonata di natura privata».

Ecco: prima ancora che il destino della Trinità, questione centrale, il corto circuito comunicativo – l’ennesimo – parte da parole sguinzagliate senza attenzione. Il silenzio è d’oro, dice il proverbio, aggiungendo che le parole sono d’argento . In questo caso, erano di piombo.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE